VII IL MAOISMO E IL NEOSTALINISMO DELL UNIONE DEI COMUNISTI |
«La parola "rivoluzionario" si può applicare solo alle rivoluzioni il cui fine è la libertà»
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A.N. Condorcet
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1. Il nucleo d'acciaio costruisce il partito
Gli stessi gruppi hanno ampiamente ironizzato sull'esasperato dogmatismo e sulle rigidità dell esperienza dell'Unione dei comunisti italiani (m-1), una formazione che proprio per le sue caratteristiche emblematizza un approccio alla politica carico di semplificazioni ideologiche e organizzative. Il nucleo dirigente dell'Uci cerca di sfruttare la crisi di identità, il bisogno di organizzazione e di certezze teoriche del militante del movimento studentesco; estremizzando la precarietà del suo stato sociale, lo colpevolizza del suo essere o sentirsi «piccolo borghese» e all'insegna dei principi del libretto rosso vuole convertirlo al «Partito» e alle regole del «servire il popolo». Da ciò la rapida quanto effimera fortuna di unbperazione fondata su una riduzione a norma del maoismo e su un apparato scenico fatto di miti e di autoesaltanti rappresentazioni della propria forza, il tutto tenuto insieme da un impianto organizzativo autoritario e ideologicamente coercitivo. Il successo sarà breve: nella prima metà del '70 il sostanziale sfaldamento del gruppo. Tuttavia proprio per le sue anomale tipicità esso avrà una funzione di volano nel dibattito e nella pratica organizzativa dell estremismo. Nel corso dell'estate '68, mentre il movimento studentesco è in fase di declino, si sviluppa il lavoro di centralizzazione che porta a confluire nel gruppo promotore delTUnione diverse matrici culturali ed esperienze cementate non da una linea politica e da un'analisi comune bensì da un frainteso maoismo e dall'esigenza della costruzione del partito. Dopo un brevissimo lavoro politico, per lo più nel Mezzogiorno e a Roma, qualche presenza nelle lotte operaie per il superamento delle «gabbie salariali» e qualche improvvisato comitato di lotta, il 4 ottobre 1968 si costituisce con atto volontaristico la dirczione nazionale dell'Unione 1. In questa prima struttura, da cui si diramano le varie squadre d'intervento, convergono: il gruppo dirigente del disciolto Falce e martello; militanti del marxismo-leninismo romano, in particolare della commissione fuori sede e del Centro antimperialista Che Guevara; un gruppo di militanti del Psiup di Paola in Calabria. Fra i nomi più noti dell'area romana ricordiamo: Luca Meldolesi, Nicoletta Stame, Antonio Russo, Guglielmo Guglielmi. Meldolesi e Stame, già collaboratori di «Classe e Stato» e di altre riviste politico-culturali, usciranno dall'Uci nell estate '70; lo stesso farà Antonio Russo, già protagonista della vicenda della Boston Chemical; Guglielmo Guglielmi sarà fra gli artefici della prima scissione del gruppo nel febbraio '70 e lo ritroveremo a distanza di anni leader della formazione terroristica Unità comuniste combattenti. Nella fase costitutiva dell'Uci è impegnato anche Paolo Ceriani Sebregondi che, al momento della formazione della direzione nazionale, sceglierà di confluire nel Pcd'I linea nera. Lo ritroveremo successivamente nelle file del partito armato. Falce e martello era nato a Milano e Bergamo come filiazione della IV Internazionale, i suoi militanti provenivano dall'entrismo nelle file del Pci, della Fgci e del Psiup. La rottura del gruppo col trotzkismo coincide con l'insorgere della Rivoluzione culturale cinese, con un brusco spostamento di linea si realizza l'avvicinamento al marxismo-leninismo. Sulla necessità del partito rivoluzionario si pronuncia in modo inequivoco la mozione del luglio '68, documento che sancisce la svolta di Falce e martello. Componenti essenziali della costruzione del partito sono: la scelta soggettiva di un nucleo di militanti ideologicamente compatto, l'autorità del pensiero di Mao, uno stile di lavoro al servizio delle masse 2. Enunciazioni metodologiche che prescindono dalla linea politica, considerata nei fatti una risultante della corretta applicazione dei principi del marxismo-leninismo. Nelle intenzioni dei suoi fondatori, l'Unione contesta la scelta soggettiva del Pcd'I: proclamarsi partito senza aver prima realizzato un rapporto con le masse. Al contrario vuole coniugare il momento della dirczione, atto comunque volontaristico, con un processo verso la costruzione del Partito rivoluzionario. In sostanza operare da subito come partito ma procedere per tappe alla sua corretta organizzazione secondo il grado di integrazione fra le masse che si riuscirà a esprimere. Trascinandosi dietro l'originaria contraddizione tra il velleitarismo di una decisione assunta come «nucleo da cui si origina il partito» e lo spontaneismo della pratica politica, si sviluppa un'esperienza che procede tra costanti correzioni, determinate più che da approfondimenti di linea da progressivi aggiustamenti organizzativi. La rivendicazione di una corretta «applicazione della linea di massa» secondo cui si dovrebbe realizzare il radicamento del gruppo tra le masse diventa nella realtà attivismo propagandistico in cui maoismo e neostalinismo si congiungono a populismo e moralismo di maniera. Se il Pcd'I e la Federazione (m-1) sono rimasti estranei al movimento studentesco, imprigionati nella loro pregiudiziale verso gli studenti considerati «figli della borghesia», l'Unione attribuendo una funzione catartica al partito e alla milizia politica fa leva sul diffuso disagio giovanile e rappresenta se stessa come l'occasione e lo strumento per una loro trasformazione rivoluzionaria. Risponde con 1 organizzazione forzata alla crisi che si è aperta nel movimento dopo il maggio francese, colmando in questo modo la contraddizione apertasi fra le avanguardie politicizzate e la gran massa degli studenti marginalizzati dal leaderismo assembleare. Prospettando la costruzione del nuovo partito rivoluzionario maoista-leninista al servizio del popolo come un «processo aperto» sembra consentire, con una capillarizzazione organizzativa e moltiplicando i livelli di impegno, una maggiore responsabilità individuale a militanti che si sentono orfani delle occupazioni studentesche e scarsamente inseriti nelle dinamiche movimento-gruppi. All'ombra dell'autorevolezza del maoismo e del fascino della rivoluzione culturale cinese, l'Unione, «nucleo d'acciaio che costituisce il vero e glorioso Pcd'I (m-1)», presuntuosamente dichiara di avere una linea politica e un'analisi di classe con le quali il futuro partito affronta la sua integrazione fra le masse 3. Il gruppo ex Falce e martello, Aldo Brandirali, Sergio Bonriposi, Enzo Todeschini, Angelo Arvati, ha immediatamente il sopravvento sull'eterogenità della componente romana, peraltro ancora fortemente caratterizzata da un approccio terzomondista e intrisa di movimentismo. Infatti, dopo una breve presenza nella direzione nazionale i principali leader romani, Nicoletta Stame e Luca Meldolesi, sono accusati di «intellettualismo» e relegati a ruoli sempre più marginali fino alla loro definitiva fuoriuscita nell'estate '70 quando, in conseguenza delle scissioni a catena del dopo autunno caldo, l'Unione entra nella sua fase di decomposizione e si avvia, al di là dell'autoesaltazione della fondazione del Partito comunista (m-1) italiano, a essere una delle tante minuscole formazioni dei marxisti-leninisti. Ricostruendo, a proprio uso e consumo, i suoi primi anni l'Unione ricondurrà lo scontro interno alla lotta ideologica contro «I esaltazione unilaterale dell esperienza del movimento spontaneo nella rivoluzione culturale» tendenza per cui Luca Meldolesi è bollato come il «principale maestro negativo» insieme a coloro che, secondo le stereotipate regole del dogmatismo emmelli-sta, altro non sono che «piccoli borghesi» antipartito. Tuttavia il mito del partito farà convivere le due anime dell'Unione fino alle prime sconfitte quando lo scollamento sarà irreversibile. Senza comprendere l'attrazione che suscita la speranza di un nuovo partito rivoluzionario 1 esperienza dell'Uci sarebbe solo interessante per una lettura psicoanalitica del gruppismo post-sessantottesco. Per il mito del «partito» si sacrifica l'imma-ginazione del movimento, ci si adatta in tempi brevissimi a modificare le proprie abitudini e si operano anche opportunistiche conversioni, basta pensare alla funzione dello stalinismo nell'Unione. Le ripetute e ossessive campagne di rettifica che assumono le citazioni del libretto rosso come fondamento di regole comportamentali e politiche, sono lo strumento per la normalizzazione della vita interna, per affermare, contro ogni policentrismo, una fiducia acritica nel gruppo dirigente bloccando sul nascere ogni interrogativo sulla qualità del lavoro politico che si sta portando avanti. Essere partito significa anche essere diversi dal movimento studentesco, imporsi sulla sua eterogeneità attraverso un'alterità organizzativa e fisica ben visibile. L'occasione per distinguersi dal coacervo del movimento è la manifestazione nazionale per la riforma pensionistica del 5 dicembre 1968. L'Unione lancia ai suoi militanti la direttiva di presentarsi esteriormente diversi, non più l'immagine dello studente delle occupazioni ma quella del «quadro politico», del «proletario». Puliti e ben rasati sfilano dietro i «simboli» della rivoluzione, della «dittatura del proletario», della «Grande rivoluzione culturale cinese»: i grandi cartelli raffiguranti Marx, Engeis, Lenin, Stalin, Mao. Il primo atto politico del costituendo gruppo è la fondazione di un proprio organo di stampa, il titolo è ripreso da una citazione maoista: «Servire il popolo», nelle intenzioni risponde al-l'obiettivo di unificare i militanti e offrire alle squadre di intervento uno strumento di lavoro. Rispetto ai dogmatismi bordi-ghiani del Pcd'I e al movimentismo della Federazione marxista-leninista l'inventario dei temi politici evocati dall'Unione non presenta grandi novità. Sul Pci si ripetono le accuse degli emmel-listi e i temi dell'antirevisionismo sessantottesco: il tradimento della Resistenza, la scelta della via parlamentare, una concezione delle alleanze collaborazionista, il progressivo imborghesimento della sua dirigenza contrapposto alla «sincerità» comunista di una base ancora legata agli ideali rivoluzionari, alla dittatura del proletariato e alla figura di Stalin. Poche le indicazioni di linea, tutto ruota attorno alla specificità che assume la questione partito anche ai fini del lavoro politico. Nel processo di costruzione del partito la realtà, il campo d'intervento politico, è il luogo dove si verificano i principi astrattamente estrapolati dalle citazioni del libretto rosso, assunto come campionario di verità rivoluzionarie: «Noi siamo in disaccordo con tutti quei compagni che si sono organizzati senza basare la propria disciplina sulla linea di massa; essi hanno agito in modo dogmatico. Hanno fondato la loro unità sui principi, ma noi sappiamo che i principi non si possono riconoscere nella loro reale validità se non vengono applicati». Inizia il primo ciclo di vita dell'Unione, un ciclo tutto improntato alla strutturazione organizzativa, a estendere la propria influenza su scala nazionale; funzionali a questi obiettivi le battaglie interne contro «l'intellettualismo». Tappa conclusiva di questa fase il 1° maggio '69 quando organizza cortei e manifestazioni in tutte le principali città. La mancanza di una linea politica è del tutto irrilevante ed è sostituita dalla propaganda ossessiva del valore metastorico della rivoluzione, a cui si accompagna l'esasperato centralismo organizzativo. Successivamente il confronto con la realtà pratica evidenzierà la macroscopica contraddizione fra l'inconsistenza dell'intervento politico, un concentrato di frenetico attivismo propagandistico e di meccaniche traslazioni dalla Rivoluzione culturale cinese, e il velleitarismo del porsi come gruppo dirigente di un virtuale partito in cui la disciplina produce una vita di gruppo improntata alla cieca subordinazione gerarchica. Il sistema interno impedisce ogni possibilità di discussione, vanificando così le embrionali potenzialità delle inchieste, della pratica sociale, degli stessi enunciati metodologici. Se a parole si contesta ogni pratica spontaneista nella realtà prevalgono attivismo e sperimentalismo. Ma l'Unione non se ne preoccupa: «Ci si può obiettare che noi non abbiamo nessuna prova che siamo dirczione valida delle masse. Noi rispondiamo che non si dirige e non si può scoprire se si è su di una giusta direzione, e che noi lavoreremo tra le masse come nucleo di partito e correggeremo tutti gli errori che volta per volta scopriremo di aver fatto, e in tal modo saranno le masse stesse che correggeranno il nostro carattere e ci rafforzeranno. Purché noi si sia armati fino in fondo della critica e dell'autocritica» 4. Il coacervo di suggestioni, dal maoismo al terzomondismo, dal trotzkismo al neostalinismo, dal mito del partito al movimentismo, che convivono e sono alla base della fase formativa del-l'Unione progressivamente si depurano per inquadrarsi nella rigidità di un sistema ideologico-normativo tenuto insieme da un forte impianto organizzativo. L'azione politica, per lo più opera di reclutamento e di propaganda, diventa la proiezione del proprio stato esistenziale, autocompiacimento della propria trasformazione soggettiva, il tutto esaltato in una visione della Rivoluzione culturale cinese destoricizzata che porta ad assumere i suoi paradigmi come valori ideali indiscutibili a cui conformarsi. Nozioni, metodi e stili di lavoro sono il riflesso di una religiosa lettura delle citazioni dal libretto rosso, fonte suprema dell'autore-volezza del gruppo e della validità del suo procedere politico. Base rossa, Fronte unito, Comitati di partito, inchiesta e pratica sociale, diventano altrettanti moduli sperimentali del tutto indifferenti alla concreta situazione in cui si applicano. Per l'Unione il maoismo diventa la religione della rivoluzione e l'applicazione psicoanalitica dei suoi principi rappresenta la possibilità concreta che viene offerta al singolo militante di realizzare il suo presunto bisogno rivoluzionario. Proprio attraverso questa distorsione, da cui non sono immuni altre esperienze del gruppismo, e ponendo come garanzia sufficiente dei caratteri rivoluzionari del partito la sincerità, la volontà e la dedizione dei suoi militanti, l'Uci riesce a conseguire notevoli successi nel reclutamento. I leader del gruppo sono presentati, con una vera liturgia dei capi, come i massimi interpreti del pensiero del presidente Mao e del marxismo-leni-nismo nella realtà italiana. Date le premesse, la prima battaglia interna si sviluppa sul partito. Si tratta di bandire ogni interrogativo, non lasciare spazio a dubbi per affermare la disciplina di gruppo, le regole della milizia e il rispetto delle gerarchle. Solo con la conferenza nazionale, della fine del settembre 1969, l'Unione dei comunisti italiani (m-1) cercherà di darsi una linea. Risulterà un elenco di banalità, di slogan massimalistici, di utopie da società presocialista e di arretratezze culturali. Per tutto il periodo che la precede il gruppo contrabbanda per linea principi, metodi, strumenti di lavoro, attività di reclutamento nei vari settori d'intervento: borgate, paesi, fabbriche, studenti, intellettuali. Nel frattempo si susseguono camaleontiche metamorfosi realizzate attraverso continue ristrutturazioni organizzative, vaste campagne di autocritica e di rettifica; un trasformismo interno che difende il gruppo dagli attacchi esterni e riconduce i suoi limiti politici non a insufficienze politiche ma unicamente a carenze soggettive e metodologiche a cui si supplisce con continui spostamenti di incarico a dirigenti e militanti. Dalle originarie squadre di intervento, un residuo del movimento studentesco, scimmiottando le citazioni sul partito del libretto rosso, passerà ai comitati di partito, per approdare al tradizionale modello organizzativo del partito comunista; cellule, sezioni territoriali, federazioni provinciali e comitati regionali. La selezione dei militanti è raffigurata come un faticoso processo in cui le distinzioni gerarchiche sono opportunamente rimarcate: prima l'apprendistato nella «squadra di intervento» poi la promozione a «quadro di partito». Ai vari aggiustamenti organizzativi si affiancano le campagne di rettifica attraverso la critica e l'autocritica. Veri e propri processi di autocoscienza collettiva in cui si affrontano i rapporti con la famiglia e quelli affettivi, si discute delle abitudini del singolo militante per trasformarle alla luce del «servire il popolo». Sfruttando la teologia «del servire il partito» vengono coercitivamente risolte crisi soggettive e interpersonali per uniformarle alle norme di un'esistenziale «politica al primo posto». Sin dalla sua costituzione l'Unione, con la sua evocazione del «partito», inteso come garante supremo contro l'individualismo spontaneistico, esercita una certa suggestione nei confronti di aree socialmente e culturalmente colpite dalla crisi d'identità prodotta dal sessantottismo, in particolare giovanissimi, studenti fuori sede, intellettuali in formazione che in una masochistica concezione della milizia politica scaricano le loro frustrazioni e i loro velleitarismi. Non solo, ma dietro la metafora maoista cercano senso e valori, esprimono quel bisogno di «testimoniare» che caratterizza alcune sperimentazioni sociali di gruppi integralisti cattolici, valga per tutti l'esempio di Comunione e liberazione 5. Progressivamente si espellono dal seno dell'Unione tutti i residui del dibattito del movimento studentesco anzi, in questa autoritaria normalizzazione, si utilizza il senso di colpa dello studente militante, il suo sentirsi troppo incline a discussioni totalizzanti per esaltare la quotidianità del «servire il popolo» come terreno esclusivo su cui si deve verifìcare la coscienza del vero rivoluzionario. Nei primi mesi del '69 la battaglia interna si sviluppa contro «l'intellettualismo» e lo spirito antipartito 6. E in questa fase che vengono emarginati Luca Meldolesi e altri quadri provenienti dal movimento ancora non convinti ad accettare una ferrea e staliniana disciplina e troppo inclini a mettere in discussione il «centralismo democratico». Le «campagne di rettifica», lanciate dalla dirczione nazionale nel marzo, si ripromettono di consolidare l'orientamento dei militanti, sconfiggendo «l'intellettualismo e proiettando tutti i quadri verso il lavoro fra le larghe masse popolari e a porsi alla loro scuola». Nelle sedi dell'Unione di Milano, Torino, Roma, Trento, Paola e di altri centri iniziano le «scuole quadri», per intensificare, seguire, guidare lo studio di tutti i militanti. Si legge collettivamente il libretto rosso, si studiano gli articoli ideologici di «Servire il popolo», si confrontano le diverse esperienze territoriali interpretandole alla luce del pensiero di Mao. Davanti alle fabbriche, alle scuole, nei quartieri, l'interven-to politico si limita alla diffusione del giornale. Dopo un'opera di prima conoscenza, la cosiddetta «inchiesta» che tende a enucleare l'avanguardia, la «sinistra» interna al popolo, si passa al reclutamento e ali organizzazione. Alle squadre d'intervento, tramutate poi in comitati di partito, per le borgate, le fabbriche, le aree territoriali omogenee, si affiancano le strutture del Fronte unito: le brigate e le squadre di propaganda, le donne rivoluzionarie, i gruppi Stalin composti da vecchi militanti ormai ai margini di ogni esperienza politica, gli intellettuali, i giovani organizzati nelle Guardie rosse e persino i bambini. La ramificazione organizzativa si realizza a tappe ravvicinate, contattando nuclei emmellisti e spezzoni del movimento studentesco delle principali città, utilizzando e sfruttando le contraddizioni del post-movimento, al tempo stesso offrendo ai propri aderenti la fugace illusione di essere realmente protagonisti della costruzione del partito. Animati dai principi del maoismo i crociati dell'Unione fronteggiano le polemiche degli altri gruppi e sono del tutto incapaci di avvertire i limiti della loro vita interna. In tutta Italia l'uscita clamorosa dell'Unione si registra in occasione del 1° maggio 1969. Nelle principali città il gruppo organizza cortei alternativi alle manifestazioni sindacali. La coreografia è perfetta: i «pionieri» aprono i cortei, ogni militante ha la sua bandiera rossa, tutti i fazzoletti rossi al collo, sono d obbligo, come risulta dalle circolari interne, per le donne le gonne e per gli uomini la giacca, la camicia deve essere aperta come i vecchi partigiani. Tutto è ordinatissimo, si rispettano le distanze fra cordone e cordone, una parata militare aperta sempre da grandi e solari ritratti del presidente Mao Tse-tung. Le apparenze tuttavia non debbono ingannare. A Roma, anche se il piano fallirà, alla coda del corteo che sfiora la manifestazione del sindacato a piazza San Giovanni un'apposita squadra è incaricata di provocare incidenti e consentire ai «veri rivoluzionari» di confluire nella manifestazione del gruppo. In nessuna città si registrano incidenti, tutti i giornali riportano con curiosità le foto di questi strani e curiosi cortei, qualcuno scrive dei «ballila di Mao» riferendosi ai pionieri, altri sottolineano la perfetta macchina organizzativa. L'Unione si è ormai imposta all'attenzione di un gruppismo ancora in formazione. L estate è piena di iniziative: la marce alla ricerca di nuclei di rivoluzionari, i teatri popolari, le sceneggiate; un misto di propaganda vetero comunista e populismo cinese adattato alla realtà italiana. Intanto sul fronte interno una nuova campagna di rettifica contro lo spontaneismo; si vogliono accelarere i tempi del partito. A fine giugno si svolge la conferenza nazionale degli intellettuali e degli artisti e si lavora per la «storica» conferenza nazionale. «Servire il popolo» convocandola scrive: «Nei prossimi mesi si svilupperanno impetuosi movimenti di massa», il riferimento è ai rinnovi contrattuali, «II riformismo tenterà di dimostrare di essere perfettamente in grado di controllarli; su questa base tenterà la scalata definitiva al governo. La nostra strategia alternativa, di vittoria, è rappresentata dalla parola d ordine: Avanti verso il governo rivoluzionario degli operai, dei lavoratori e dei contadini» 7.
2. La falsa coscienza dell'Unione
A meno di un anno dalla costituzione della direziono nazionale l'Unione è una realtà strutturata in tutto il paese, secondo alcune stime fra mèmbri del partito e aderenti, i militanti sarebbero circa 12 mila. La cifra è sicuramente eccessiva ma non ce dubbio che il frenetico proselitismo del gruppo ha riscosso notevoli successi, gli ex studenti che formano lessatura dell'or-ganizzazione, a colpi di citazioni di Mao sono presenti nelle situazioni più disparate. Secondo lo schema del gruppo il lavoro politico nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole, rappresenta l'applicazione della linea di massa per costruire i primi embrioni del Fronte unito rivoluzionario, che viene definito lo strumento di unificazione del popolo: «Noi puntiamo sotto la dirczione del partito a organizzare il Fronte unito, nella forma specifica e locale del Comitato rivoluzionario del popolo come parte di dirczione suprema di tutte le forme di organizzazione della vita delle masse» 8. Dietro la macchinosità dell'impianto prospettato in realtà si vuole sistematizzare la contraddizione fra centralismo e situazioni di base. La complessa prefigurazione del rapporto partito-comitati rivoluzionari del Fronte unito che tanto farà interrogare e scervellare i militanti dell'Unione, altro non è che un tentativo per non rompere attraverso la scelta soggettiva dell'organiz-zazione con la ricchezza delle occasioni di intervento. Una formula che vuole lasciare aperto il rapporto con le altre componenti del movimento. Il problema si pone sin dalla costituzione della dirczione nazionale, le varie invenzioni organizzative sono altrettanti tentativi di risolverlo. Accanto al partito si hanno così, volta per volta, le squadre di intervento, i gruppi Stalin, i gruppi di quartiere, le guardie rosse, i comitati. Nella storia dei gruppi ritroveremo spesso questo impianto, si tratta sempre di una conseguenza della contraddizione partito-movimento. Analogie si possono riscontrare nel rapporto Avanguardia operaia e Comitati unitari di base, nella fluidità organizzativa della prima fase costitutiva del Manifesto, e infine nello stesso rapporto fra Autonomia e il suo universo. La metafora del Fronte unito in sostanza rappresenta in nuce il campo di intervento del singolo gruppo, il virtuale terreno di unificazione con altre esperienze del sinistrismo magari ridotte a manifestazioni parziali delle spinte rivoluzionarie. Affermarsi come partito, esprimere una dirczione strategica significa egemonizzare questo campo di forze. Nasce da ciò il confronto che si realizza fra i gruppi, il loro unirsi e dividersi, nonché il loro addensarsi su alcune realtà sociali e di fabbrica particolarmente significative. Come si è già detto, il problema prioritario dell'Unione è cementare l'unità interna, darsi e offrire regole per la centralizzazione e far scaturire da ciò la disciplina dei singoli militanti. Soccorre a questo obiettivo un approccio neoidealistico, apparentemente organico alla critica al sistema capitalistico. La contestazione dei valori della società borghese e dei suoi idoli viene estremizzata al servizio dell'organizzazione. Sia nella vita interna che nel lavoro politico si applica la direttiva «il nostro primo compito di comunisti è combattere il nostro egoismo partendo dalle piccole cose». Per l'Unione anche la critica al «revisionismo» si carica di un significato che trascende il giudizio politico per coincidere con la critica ai suoi valori del tutto omologabili a quelli della borghesia. Già nel primo numero di «Servire il popolo», l'articolo Per il nuovo partito rivoluzionario marxista-leninista offre una retrospettiva del «tradimento» del Pci: la rivoluzione socialista è stata tradita nella Resistenza perché a «dirigenti con armi in pugno e con una profonda e onesta partecipazione ideale» si sono opposte «a livello nazionale le dirigenze nazionali che si riunivano nel Comitato di liberazione con i rappresentanti della borghesia e con i militanti dell'esercito delle nazioni imperialistiche alleate alla borghesia italiana». I dirigenti del Pci appellandosi al senso di disciplina dei quadri rivoluzionari, sono riusciti a disarmare il popolo e ad estromettere dal partito e dal sindacato «i veri comunisti» 9. Alla critica tradizionale degli emmellisti l'Unione aggiunge il suo idealismo: il tradimento è reso possibile perché i vertici imborghesiti si sono allontanati dalle «idee giuste e pure» del proletariato. In questo modo il revisionismo diventa corruzione, atteggiamento soggettivo. I malvagi revisionisti sono rappresentati con le più incredibili, irreali e demagogiche descrizioni: «hanno il volto e il passo viscido, hanno il volto e gli atteggiamenti corrotti, hanno il volto, il passo e gli atteggiamenti dei traditori che si aggirano furtivamente, cercando di seminare la discordia e la zizzania, 1 egoismo e l'individualismo». Al contrario gli uomini e le donne del popolo, secondo i canoni del realismo socialista sono, «uomini dal volto duro e dalle mani callose», «donne semplici e dolci madri...» che soffrono il dramma dei loro uomini10. Per rispondere al bisogno di certezza dei suoi militanti, più in generale tentando di interpretare uno stato di disorientamento dell'insieme del movimento studentesco si riduce tutto alla lotta fra bene e male. Criticando il tentativo di autorganizzazio-ne dell'Unione, Francesco Ciaf aloni e Carlo Donolo sui «Quaderni piacentini» scrivono: «II bisogno di certezza corrisponde al bisogno di un orientamento stabile nell'agire, grazie però alla riduzione radicale della complessità della situazione. Ciò è ottenuto tramite uno schema interpretativo bianco e nero: noi e gli avversari, il bene e il male, i rivoluzionari e i revisionisti» ". La lotta al revisionismo diventa così lotta fra concezioni del mondo, lotta fra le idee: «da dove vengono i revisionisti? I revisionisti vengono dalla borghesia; allora noi per fare la lotta contro i revisionisti dobbiamo fare la lotta contro il modo di pensare che i revisionisti possiedono e contro quel modo di pensare che i revisionisti cercano di inculcare negli operai». Ridotto il revisionismo alle categorie di egoismo e di individualismo, per sconfiggerlo bisogna affermare le idee giuste del proletariato, cioè l'amore per il popolo, la dedizione, l'altruismo e la sincerità. Per non tradire il popolo bisogna vivere come vive il popolo: avere un salario da operaio, non pensare mai prima a se stessi, ma sempre agli interessi del popolo: questa è la purezza ideale dei veri comunisti! Nella costante semplificazione della complessità della lotta di classe, affermazioni del tipo «questa è l'epoca della coscienza delle masse» o «l'imperialismo marcia verso la sua sconfitta totale» sono calate sulla realtà fino ad attribuire a un'indistinta categoria di popolo un'altissima coscienza rivoluzionaria, condizione per cui è possibile anche nel nostro paese parafrasare il modello della rivoluzione culturale cinese nella lotta contro il revisionismo. Nasce da ciò l'esasperata imitazione nel linguaggio e nelle forme espressive del maoismo. Nei colori, nella struttura delle immagini, anche se ingenuamente si cambiano le caratteristiche somatiche dei soggetti, i manifesti sono la copia di quelli cinesi, 10 stesso accade per l'apparato scenografico che accompagna le iniziative del gruppo. Il linguaggio giornalistico di «Servire 11 popolo» e «Bandiera rossa» dietro l'apparente semplicità è pieno di un aristocratico populismo che esalta i comportamenti del popolo e del proletariato riproponendoli in versione neosta-liniana. Nell'elaborazione dell'Uci la nozione di classe è sostituita da una sociologica' interpretazione dei comportamenti sociali. Già nel bollettino interno n. 1 dell'inverno '69 si legge «avevamo commesso l'errore di essere rimasti al concetto di classe». Assunto come parametro fondamentale il giudizio «questa è l'e-poca della coscienza» si deformano le potenzialità rivoluzionarie e la dislocazione di classe dei diversi strati sociali. Il popolo diventa una categoria astratta in cui si annullano tutte le differenze: «escluso il pugno dei ricchi borghesi e sfruttatori del popolo tutti gli altri uomini compongono il popolo, che ha come interesse comune la rivoluzione si può dire che il 97% degli italiani può in ultima analisi essere unito e guidato a fare la rivoluzione socialista». Ne consegue una riduzione di tipo assistenzialistico della nozione «servire il popolo», a cui si accompagna il privilegio degli aspetti sovrastrutturali e dei dati soggettivi rispetto alla politica. Si deforma così la realtà estendendo a un popolo immaginario contraddizioni e problematiche che sono invece espressione delle tensioni che animano gli aderenti del gruppo. Non sono i rapporti di produzione e la miseria delle masse popolari le spinte prioritarie che determinano la lotta di classe, bensì l'oppressione, l'insoddisfazione e i miti della società del benessere: «Si può dire che l'elemento che spinge maggiormente allo sviluppo del movimento rivoluzionario non è tanto la miseria delle masse popolari quanto la loro profonda insoddisfazione nei confronti della organizzazione sociale, della concezione del mondo che guida questa marcia nella società, dell'uso che viene fatto del bene pubblico». E ancora: «in questa fase della lotta rivoluzionaria in un paese di capitalismo sviluppato i compiti della rivoluzione non possono essere quelli della rivoluzione economica e politica, ma dobbiamo anche impegnarci a sviluppare la rivoluzione nei campi della cultura e della sovrastruttura» 12. Infatti: «Le classi dominanti, il capitalismo, esprimono il loro potere politico sugli uomini e sulle loro coscienze in quanto le loro idee sono dominanti». Spetta alla «grande e giusta Unione» estirpare queste idee, restituire al popolo le «idee» della rivoluzione: «A questo punto quella che appariva la forza del padrone diventa debolezza infinita, perché gli operai hanno preso il potere sul proprio pensiero e hanno capito che la forza del padrone non dipendeva da altro che dalle idee ingannatrici che propagandava e dalla difesa che il governo e la polizia ne fanno» ". Tuttavia questo unilateralismo esprime un mutamento delle ragioni stesse della lotta di classe e, sia pure nella sua deformazione, la molla ideale della scesa in campo di nuovi settori sociali e l'esplodere di una soggettività del cambiamento non più ri-conducibile alle tradizionali categorie di classe. Dietro le rigidità organizzative, si nascondono molti elementi di provenienza marcusiana quali la lotta contro il consumismo come «male» sociale, il diffuso rifiuto del progresso e una generica aspirazione al socialismo come felicità. Un* eclettica combinazione di idealismo e vetero comunismo, un'insistenza ossessiva sulla «concezione del mondo» che trasferisce il mito della rivoluzione sul piano dei comportamenti quotidiani e nel microcosmo del gruppo. Le idee della borghesia e le idee del proletariato sono due assoluti che si combattono fra loro; male e bene che si scontrano: «Ogni elemento onesto e sincero vive dentro di sé la lotta tra queste due diverse idee, le idee della borghesia e le idee degli operai» 14. Lottare contro il revisionismo dunque significa cambiare se stessi, modificare le proprie abitudini. Per lo studente ex movimento ciò vuoi dire rompere col suo individualismo, piegarsi alle regole dell'organizzazione, essere al servizio del popolo e tautologicamente del «partito». Alle «idee marce e corrotte» del dominio del capitale, l'Unione contrappone l'al-truismo. Da un'idea in sé, «l'amore», si fa discendere l'«odio» di classe, non sono i reali rapporti di produzione che creano l'o-dio di classe e spingono il popolo a lottare ma è l'«amore» che crea la forza motrice della storia. La stessa visione della storia della lotta di classe ne risulta stravolta: «II popolo si batte per modificare il rapporto fra gli uomini, si batte per generare quel-l'amore che è la carica fondamentale che crea Iodio di classe [...] Dall'amore nasce Iodio, dall'amore per il popolo, dalla concezione altruistica e collettivistica nasce Iodio per chi impedisce al popolo di unirsi e di realizzare la trasformazione collettivistica. L'odio cresce con la stessa intensità dell'amore: più l'amore è intenso e reale e più cresce l'odio. La lotta di classe è generata dal generarsi dell'odio dall'amore» 15. Quest'ossessione ideologica che decade al rango di norma e contrabbanda metodologie per politiche non è solo il frutto di un paranoico abuso del maoismo. Piuttosto enfatizza le motivazioni ideali che hanno spinto gli studenti, per lo più di provenienza borghesi o comunque non una classe definita a mobilitarsi, a schierarsi dalla parte della rivoluzione. Qualcosa che va oltre la politica, un inedito patrimonio su cui si vuole e si può far leva. Rivolgendosi agli studenti il giornale «Le guardie rosse» scrive: «In generale la maggioranza dei giovani non è ancora corrotta (spesso anche i più ricchi o privilegiati per provenienza sociale) e quindi la tendenza più diffusa sarà quella di andare verso il popolo, verso le vie giuste contro l'individualismo e l'egoismo». L'Unione guarda alla scuola e all'università dall'alto del suo proclamarsi partito. Sarà questa una forza e una debolezza del gruppo. La sua estraneità le garantisce una forte capacità di reclutamento; numerosi gli studenti medi che sotto la guida del «partito» si trasformano in guardie rosse e, al servizio del popolo, in quadri rivoluzionari. Del tutto irrilevante invece il suo contributo al movimento studentesco. Il gruppo nel suo sviluppo ne ignora l'esistenza e prende le distanze dalle sue manifestazioni, ripetendo ossessivamente le critiche allo spontaneismo sovrappone al dibattito del movimento il suo orgoglio di partito in formazione. Agli studenti, non al movimento studentesco, si attribuisce un grande potenziale rivoluzionario: «Gli studenti sono una categoria sociale a sé stante, in ultima analisi solamente collegabili alla piccola borghesia. Gli studenti possono essere definiti semplicemente piccolo-borghesi solo dal punto di vista di un'analisi di tipo sociologico borghese che parte dal dato della composizione sociale senza analizzate, quindi, la contraddizione di fondo che vivono gli studenti [...]. L'aspetto principale degli studenti non è quello della provenienza di classe, bensì che essi sono giovani» 16. Ed essendo «giovani» essi sentono l'attrazio-ne verso il popolo, sono spinti ad andare «verso il giusto» e combattere contro «l'individualismo e l'egoismo». Confrontata con l'ampiezza delle analisi condotte nel corso delle lotte studentesche, l'analisi dell'Unione appare semplifica-toria e rozza. La scuola, come la vita politica, «è dominata da una cricca di luridi affaristi che hanno conquistato cattedre e posti elevati di insegnamento a colpi di corruzione politica» 17 un potere borghese contro cui si indicano come terreni di lotta la promozione dei «collettivi di studio» o l'uso collettivo dei libri di testo, per affermarne il valore rivoluzionario dell'«aiuto reciproco». Poco incisivi alcuni propositi di lotta, un retaggio del movimento, contro l'istituzione scolastica come il sabotaggio delle lezioni, il rifiuto di pagare le tasse, la contestazione dei professori. Non va sottovalutata la presenza di queste spinte nel sistema disciplinare e normativo dell'Unione, al contrario esse contenute dal centralismo organizzativo si scateneranno al momento della sua crisi ― nei primi mesi del '70 ― ricongiungendosi per molti rivoli al corso del gruppismo. Ma gli studenti non sono ancora quadri di partito, la loro milizia è piena di interrogativi e dubbi, residui di intellettualismo o marchi della loro provenienza di classe. Organizzazione e maoismo soccorrono a tal proposito; offrono stabilità e identità al militante senza politica, uscito in uno stato confusionale dalla sbornia del Sessantotto. Essere al «servizio del popolo» significa un generale spostamento del punto di vista. Ecco così gli studenti che abbandonano gli studi per la «rivoluzione», collettivizzano i loro beni, gli idoli del consumismo, i libri, i dischi, le macchine; una collettivizzazione che arriverà fino a far possedere all'Unione appartamenti e vari beni, anche se sono in molti a dichiararsi dubbiosi sulla provenienza degli ingenti finanziamenti di cui dispone il gruppo. Se le forme esteriori sono primitive e infastidiscono con la loro pedissequa imitazione del maoismo, la teoria e la pratica dell'Unione non sono separabili dalla critica alla società capitalistica che serpeggia nella cultura del movimento studentesco. Critica alla cultura, critica ai modi di vita imposti dal capitalismo si fanno ordine, la contestazione si irreggimenta all'insegna della disciplina, la lotta all'autoritarismo della società si placa all'ombra della più nobile autorità del pensiero di Mao. Esemplifica al massimo l'accecamento trionfalistico e lo spirito di autoesaltazione l'intervento che si realizza tra gli artisti. Con la costruzione dei «nuclei di artisti al servizio del popolo» si vuole dar vita a un processo di trasformazione degli artisti che partendo dai sentimenti delle masse e imparando «a leggere nel grande libro della vita degli sfruttati» possono modificare in senso rivoluzionario la loro collocazione, sprezzantemente definita dall'Uci di «servi del padrone». Agli artisti spetta il compito morale di combattere il revisionismo che ha creato il pessimismo fra gli studenti e le masse operaie e popolari, imponendo attraverso le loro opere l'ottimismo per il socialismo e solo stringendosi attorno alla «grande e giusta Unione» essi possono ottenere la garanzia di mettersi al servizio del popolo. Farsi partito significa dotarsi di un preciso «stile di lavoro», fornire ai propri militanti un metodo di intervento, la politica sarà una conseguenza. In realtà la frase maoista che rimbalza in tutte le riunioni dell'Unione «la politica al primo posto» significa più esattamente l'«idea» della rivoluzione al primo posto. Partendo dalla citazione maoista: «Da dove provengono le. idee giuste? Cadono dal cielo? No, sono innate? No, esse provengono dalla pratica sociale e solo da questa», l'inchiesta è lo strumento fondamentale e prioritario dell'intervento del gruppo nei vari settori. Utilizzando in modo schematico lo scritto di Mao Tse-tung Contro la mentalità libresca, con una fuorviante critica ali'intellettualismo e alla cultura, l'unica conoscenza del militante rivoluzionario è la «pratica sociale». L'avido lettore delle riviste politiche cessa il suo vagabondaggio nelle culture della rivoluzione per approdare al lido sicuro del Mao Tse-tung-pensiero, unica e principale fonte di verità. I militanti, i nuovi reclutati sono sottoposti alla «pratica sociale» tra il popolo «per raccogliere le idee giuste», per trasformarsi così in rivoluzionari e «guardie rosse». Colpisce nello scorrere la raccolta di «Servire il popolo» la quasi totale assenza di riferimenti concreti alla situazione politica italiana o anche alle singole situazioni di intervento. Ne consegue una pratica politica fatta di propaganda, di slogan, di modelli organizzativi, non guidata da nessuna organica impostazione teorica. Nei quartieri, nei paesi come nelle fabbriche, «il popolo può unirsi solo nell'ideale socialista in una grande carica di amore e di altruismo» a cui si aggiunge la carica rivoluzionaria basata sul profondo odio che il popolo nutre per i suoi «nemici». Verificato, in modo del tutto soggettivo, attraverso una non ben definita inchiesta, che l'altruismo corrisponde ai desideri del popolo, la pratica rivoluzionaria si riduce a obiettivi morali e di costume come «la raccolta di fondi tra il popolo per poter dare una sedia a rotelle a un anziano compagno infermo»; oppure combattendo Pindividualismo borghese, come si ricava da ragionamenti del tipo «le ragazze sono prese dal problema dell'avere un costume più bello di un'altra»; «al mare e'era il bullo che cercava di farsi bello facendo vedere che lui nuotava meglio degli altri», da cui si arriva a teorizzare come momento di unificazione del popolo il «nuoto proletario», contrapposto a un nuoto di stile borghese. Nelle fabbriche per affermare il collettivismo e l'altruismo si propongono le squadre di aiuto reciproco a cui partecipano «tutti gli operai» con l'unica discriminante «di pensare prima agli altri che a se stessi». Esasperando un utopico bisogno di egualitarismo, all'interno della fabbrica, si prospetta una redistribuzione del reddito, chiedendo a chi più possiede un riequilibrio a favore dei meno abbienti. Esempi che sarebbero, secondo le elaborazioni dell'Unione, l'attuazione delle idee del socialismo e un modo concreto per sconfiggere l'opera di divisione creata nelle file della stessa classe operaia: «oggi quando il padrone minaccia di licenziarci noi gli rispondiamo che adesso non è così facile per lui; ci licenzi e poi non troverà da sostituirci, perché noi operai edili ci siamo uniti e abbiamo deciso che se uno di noi viene licenziato nessuno deve accettare di andare a sostituirlo» 18. Modestissime presenze si registrano all'Alfa di Milano e in qualche altra fabbrica, per lo più si tratta di nuclei raccogliticci di militanti critici nei confronti del sindacato e scarsamente rappresentativi. Anche i mèmbri dell'Unione avvertono questo punto di debolezza ma sono accecati dal trionfalismo, peraltro offre un velo alla dimensione reale delle difficoltà il grande attivismo, la coreografia e l'ingente opera propagandistica. Davanti alle fabbriche o ai cantieri, ancora non si è allo scontro duro con l'estremismo, suscita curiosità e anche apprezzamento vedere questi studenti militanti che diffondono «Servire il popolo», che discutono con gli operai sempre accompagnati da un esaltante stormire di bandiere rosse. Le squadre si ritrovano nei quartieri, organizzano le scuole proletarie con i bambini, i medici al servizio del popolo. Nel sano furore della rivoluzione questi studenti trasformati in quadri di partito si accontentano di poco: piccole riunioni, qualche disponibilità, qualche consenso costruito sul malessere nei confronti del Pci e dei sindacati. Basta questo per essere, nel gergo dell'Unione, una potenziale «sinistra» in seno al popolo. Con l'autunno caldo la situazione muterà bruscamente.
3. Dalla storica conferenza alla crisi.
Con un grande sfoggio di bandiere rosse, con un apparato scenico e un cerimoniale degno della «storica» occasione, nel settembre '69 si svolge a Roma la prima conferenza nazionale, un appuntamento che deve preparare il congresso di fondazione del partito. Il gruppo ex Falce e martello ha sconfitto le opposizioni interne, l'intellettualismo è stato bandito attraverso l'intensa «rieducazione» fra le masse. Dopo le manifestazioni del 1° maggio, tutto il Paese ha parlato dell'Unione; il gruppo ne ha tratto ulteriore linfa organizzativa. Nell'estate le «lunghe marce», le carovane delle guardie rosse, gli artisti al «servizio del popolo» con le loro rappresentazioni inneggiami alla Cina e alle virtù del popolo, hanno fatto conoscere il pensiero di Mao Tse-tung anche nei paesini più speduti. Apparentemente tutto procede secondo i piani. Eppure qualche dubbio comincia ad insinuarsi: perché non si fonda il partito? E la Cina perché non si pronuncia sul-PUnione? Qualche quadro di base comincia a dubitare ma ancora non socializza le sue prerplessità, il mito dell'organizazione è troppo forte. Eppure le cose stanno cambiando: cominciano le esitazioni di fronte all'insistenza sul nome di Stalin, timide critiche accolgono l'articolo apparso su «Servire il popolo» che non esclude la partecipazione del gruppo alle elezioni. Ma la maggior tensione è sulle lotte. Il distacco dal movimento era stato sopportato nella prima fase quando la scelta era tutta finalizzata a crescere organizzativamente. Molte delusioni avevano suscitato la totale indifferenza dell'Unione nelle manifestazioni antimperialiste e le molte assenze nelle lotte delle fabbriche e dei quartieri. Alla propaganda era seguita la rete organizzativa ma molti militanti ormai si chiedono a quando le lotte e il movimento, a quando il riunificarsi con le spinte di tutti i «ribelli rivoluzionari». Anche sul partito le cose evolvono: nel Pci scoppia il caso del Manifesto, gli operaisti tendono a organizzarsi, nessuna novità invece sul versante dell'emmellismo che continua a essere diviso. Sulla conferenza nazionale si caricano molte aspettative. La selezione dei delegati è rigorosissima. Al canto dell'Internazio-naie la platea, in piedi e col pugno levato, saluta il leader del gruppo, il segretario nazionale Aldo Brandirali. Il suo rapporto politico è l'idilliaca cronistoria dell'esperienza prodotta dal-l'Unione, mentre sul piano delle indicazioni si ripetono, risistemate, le posizioni già espresse sui singoli argomenti. Senza richiamarvisi esplicitamente il punto di partenza della relazione è la nascita del movimento studentesco: «Un grande cambiamento è avvenuto nel nostro paese in questi anni e mesi recenti [...]. La giovane generazione di rivoluzionari proletari è scesa in massa sulla strada della causa del popolo [...]. Ma, inizialmente, la ribellione dei giovani rivoluzionari si è sviluppata senza strumenti adeguati per capire le cause del tradimento revisionista e per poter criticare il revisionismo sino alle radici che 10 hanno generato. Questo ha fatto sì che la ribellione si sviluppasse in modo disordinato e commettendo molti errori di principio e politici» 19. Per correggere questi errori, per dotare i ribelli rivoluzionari di un piano rivoluzionario scientifico l'Unione sin dal momento della sua fondazione si è sottoposta all'«autori-tà» dell'invincibile pensiero del presidente Mao. E questa la guida sicura per costruire il partito rivoluzionario dunque al primo posto quella che viene chiamata «l'assimilazione del pensiero del presidente Mao». Il leader dell'Unione ripercorre le ragioni del fallimento dei movimenti marxisti-leninisti. Il procedimento è quello di sempre: «Bisogna combattere contro coloro che alzano la bandiera rossa del presidente Mao per combattere contro il pensiero di Mao. Bisogna criticare il dogmatismo e la degenerazione opportunistica di "sinistra" che si è sviluppata dal 1964 al 1968 nelle file dei marxisti-leninisti in Europa» 20. Per Brandirali il problema vero è assimilare correttamente 11 pensiero di Mao quale si esprime compiutamente e al punto più alto nella Rivoluzione culturale successiva alla costituzione del movimento marxista-leninista. La novità di fondo, prosegue, consiste nel non limitare la critica al «revisionismo» al tradimento dei dirigenti e alla loro politica ma andare alla sostanza: «Non capivamo cioè che il revisionismo ha le sue radici, nell'ideologia borghese e che dell'ideologia borghese si esprime nelle putride concezioni dell'individualismo e dell'egoismo». E questo il cuore concettuale che anima la teoria, e quindi la sua precipitazione nell'ideologismo, dell'Unione. Nasce da ciò la sua forza e quella che sarà la sua debolezza, il suo dogmatismo saccente e il suo moralismo. Tutto il resto è conseguenza. Abbiamo già detto delle componenti che sono alla base delle fortune dell'Unione. Agli aspetti già indicati, risposta al bisogno di stabilità e di certezza, si aggiunge il fascino di cui carica la Rivoluzione culturale; essa diventa teoria, metodo, pratica, idee per interpretare non solo e non tanto la sfera politica quanto il vissuto del singolo militante. Il rapporto politico alla conferenza è una lunga sequela di ripetizioni tratte dal libretto rosso, in una piatta «assimilazione» si procede elencando citazioni e loro esemplificazioni. L'analisi politica si limita alla proclamazione: «Profonde contraddizioni interne dilaniano il potere della borghesia». La conclusione sul piano internazionale e nazionale è scontata quanto discutibile se confrontata con quello che sta avvenendo nel paese: «La grande borghesia capitalistica italiana ha bisogno di un governo spostato a sinistra» per mantenere sotto controllo il movimento di massa. La De non è più in grado di garantire la tregua sociale, ormai questo compito sarà assolto dalla «cricca revisionista italiana che domina il Pci, il Psiup e la Cgil» sono loro che da vent'anni offrono una copertura a sinistra al governo della De. Ma di fronte al sorgere di un possente movimento di massa il «revisionismo» ha perso il controllo sulle masse, nasce da ciò il piano di un suo inserimento al governo voluto dai settori più avanzati della borghesia, a cui si oppone il movimento rivoluzionario: «Probabilmente i revisionisti entreranno nel governo e i sindacati vedranno migliorare la loro posizione nelle fabbriche grazie all'appog-gio dello Stato e dei capitalisti, ma questa operazione è così grossolana che nessuno nei settori di massa crederà veramente che si sia fatto un passo avanti con questi cosidetti spostamenti a sinistra» 21. L'Unione, definita sempre nel rapporto «Partito», rappresenta un ostacolo a questo disegno. E prevedibile una controffensiva reazionaria fatta di manovre poliziesche e di attacchi violenti: «Dobbiamo dunque e lo siamo, essere pronti per ogni evenienza, essere in grado di lavorare anche in condizioni di clandestinità». Operano già nel gruppo i primi sistemi di vigilanza ed una rudimentale rete di protezione contro l'ipotesi repressiva. Contro il rischio di attentati e di provocazioni la scorta di Bran-dirali e alcuni militanti fidati girano armati, fra il rispetto e anche l'orgoglio rivoluzionario, per tanta efficienza, degli altri mèmbri del gruppo. L'appello generale alla «combattività rivoluzionaria» non si sofferma sulla natura del movimento di lotta in atto nel paese, del tutto ignorata nei suoi caratteri concreti la tensione nelle fabbriche, silenzio sulla battaglia di corso Traiano a Torino e sull'e-splosione della contestazione al sindacato. Significativo il commento della rivolta a Caserta. Dalla protesta di massa conseguente a un evento sportivo si fa risalire un più generale antistatuali-smo, uno schema interpretativo che in nuce testimonia Patteggiamento dell'estremismo su quella che sarà la rivolta di Reggio Calabria. I più insoddisfatti sono i militanti che operano nel Sud, avvertono che sul piano della lotta il gruppo non regge. Nel piattume generale delle ovazioni alla grande e giusta Unione, nel dibattito si registra qualche timida critica. Propagandare l'altrui-smo contro l'egoismo non basta di fronte alla natura delle tensioni sociali e alla qualità dello scontro. Nel rapporto di Brandirai! i molti richiami alla combattività delle masse insistono sul dato soggettivo: non il disagio economico ma l'innato rifiuto del sistema capitalistico è il principale motore del movimento rivoluzionario. Le lotte debbono nascere dalla profonda condanna che le masse popolari esprimono sul «marcio» e «corrotto governo della boghesia e su tutto il sistema di potere politico», rispondere a questa volontà significa «spazzare via» tutti gli strumenti del malgoverno propagandando un governo della società che sia nelle mani del popolo, fondato su una democrazia qualitativamente nuova, capace di dare soluzione ai drammatici problemi di vita e al tempo stesso di costruire un nuovo sistema di valori e di convivenza collettiva. Contro il governo della borghesia l'Unione lancia la proposta del «Governo rivoluzionario degli operai, dei contadini, e dei lavoratori fondato su delegati eletti e controllati alle assemblee di massa». Demagogia e semplicismo si combinano in una proposta astratta, formulata con ampia dovizia di particolari e con una puntigliosa elencazione di norme e principi. «La forma democratica dei delegati del popolo eletti nelle assemblee di massa è superiore a ogni altra forma democratica, e smaschera e pone in ridicolo la farsa del sistema elettorale borghese. Il popolo è la forza di ogni trasformazione e il popolo sotto la dirczione della classe operaia e del suo partito, instaurando il governo rivoluzionario, potrà finalmente decidere tutte le trasformazioni che ritiene necessarie. I consigli rivolu-zionari del popolo e di fabbrica decideranno tutto. Potranno così gridare: "― basta con il sistema delle elezioni e delle urne nelle quali si deve votare per partiti e persone che non si possono controllare e che fanno quello che vogliono; ― basta con il sistema del Parlamento in cui recitano le loro farse i rappresentanti della borghesia e del revisionismo che hanno rubato con l'inganno i voti del popolo; ― basta con il sistema dei deputati che corrompono l'amministrazione pubblica e che non possono mai esser tolti dai loro scanni di potere; ― basta con il sistema di leggi che difendono lo sfruttamento e l'oppressione del popolo; ― basta con il sistema dei ministri che decidono le riforme su raccomandazione e pagamento dei grandi capitalisti; ― basta con il sistema dei tribunali che lasciano liberi i ricchi che rubano, o che incarcerano gli affamati che rubano un po' di cibo e i proletari che si ribellano e protestano» 22. Il programma del governo rivoluzionario è specificato attraverso l'indicazione di un complesso di leggi: «E proibito produrre beni di lusso»; la «disoccupazione è un crimine», «tutto il materiale pornografico ed ogni fattore di propaganda delle idee morali e corruttrici della borghesia debbono essere immediatamente eliminati»; «il governo rivoluzionario aiuterà i vecchi pensionati»; «tutti i cattolici che desidereranno continuare ad andare in chiesa potranno farlo»23... Secondo il leader del gruppo, Brandirali, il governo rivoluzionario è un obiettivo concreto in quanto si tende alla sua effettiva realizzazione ma, nello stesso tempo, essendo la sua attuazione a lunga scadenza e una «idea» da portare alle masse, un modello che «da il senso giusto alle lotte delle masse e ai desideri di lottare per questo obiettivo». In realtà è solo uno strumento propagandistico: un insieme di parole d'ordine, un condensato di «principi» per un'utopica e semplificata società socialista. II moralismo della denuncia del corrotto «potere politico» si accompagna ad immagini ingenue, «davanti agli occhi degli sfruttatori e degli oppressi stanno l'enorme ricchezza e lo sfarzo dei capitalisti: grandi ville, interi palazzi, tenute private, grandi yacht, macchine lussuose, e orge corrotte e ributtanti. Ministri, politicanti, dirigenti, hanno stipendi che toccano le stelle. Il furto è all'ordine del giorno nell'amministrazione pubblica». Allo sfascio borghese si contrappone il sogno di una mitica società socialista: «La rivoluzione socialista spazzerà in un colpo solo tutti i lussi dei capitalisti e tutte le grandi differenze salariali. Assegnerà una casa a ognuno, controllerà e bloccherà i prezzi delle merci, programmerà la costruzione di industrie e di attività lavorative in eguale misura in tutte le regioni del paese, fermerà ed eliminerà in un colpo solo la disoccupazione e l'emigra-zione. Tutti i dirigenti e gli amministratori avranno salari uguali a quelli degli operai, e le differenze salariali saranno grandemente ristrette, eliminando in un colpo solo tutti gli alti stipendi, e assegnando a tutti i più poveri un salario minimo in grado di garantire una vita dignitosa. Tutti i consumi inutili e lo spreco verranno eliminati affinchè tutto il popolo possa avere garantito il necessario per vivere. Le idee corruttrici che guidano la cultura e l'informazione verranno apertamente combattutte. Nell'eguaglianza sociale e nello spirito collettivo affermato nei rapporti comuni del popolo, si vivrà una condizione completamente nuova di felicità. Lavorando per il bene del popolo tutti i lavoratori aumenteranno profondamente la loro volontà di produzione, le forze produttive si sprigioneranno e il paese, che è industrialmente ricco e pieno di risorse materiali e umane, diventerà in ogni sua provincia un giardino fiorito, e la vita del popolo realizzerà grandi conquiste, quali mai finora si sono conosciute. L Italia socialista si reggerà sul controllo armato del popolo e della milizia popolare, affinchè costantemente e ovun-que si eserciti la dittatura del proletariato contro qualunque tentativo di ricostruire lo sfruttamento capitalistico» 24. Con grande enfasi, nel plauso dei delegati ma senza grandi risultati si conclude la conferenza nazionale. II paese affronta la stagione delle lotte contrattuali, per molti quadri dell'Unione sarà un brusco risveglio alla realtà. «La precisione e la grande validità della linea e del programma approvato dalla conferenza» si dimostra una pia intenzione, fonte solo di delusione per l'impegnato e sincero attivismo di tanti militanti. All'indomani della conferenza nazionale crollano gli effimeri trionfi. Intelaiatura teorico-organizzativa e apparato scenico crollano nell'impatto con la politica. I militanti, sia pure filtrate dal mito del maoismo, hanno acquisito maggiori conoscenze, hanno maggiore dimestichezza con la pratica politica, non soffrono delle originarie paure del primo incontro con il popolo e la classe operaia, vogliono discutere e sono sempre più insofferenti al vuoto centralismo. Mettono in discussione l'esperienza svolta e spazzano via come un castello di sabbia il mito della «grande e giusta Unione». Un processo che produce profonde crisi soggettive, la migrazione di molti militanti in altri gruppi nonché l'innestarsi in altre formazioni di alcuni motivi propri dell'unionismo. Davanti alle fabbriche la situazione è molto diversa dalle descrizioni di «Servire il popolo», il gruppo è isolato in qualche caso sbeffeggiato. Altro che le roboanti cronache del giornale: «Si è ottenuta una grande vittoria perché gli operai hanno capito che i sindacalisti che bruciano le bandiere rosse sono traditori e noi siamo i veri comunisti». La propaganda del maoismo non è sufficiente, ne la generica critica al sindacato produce grandi consensi. Manca ai militanti del gruppo, ogni conoscenza della fabbrica, gli appelli al mutuo soccorso e all'al-truismo si manifestano alle squadre di intervento come parole altrettanto generiche della massimalistica proposta del «Governo degli operai, dei contadini e degli studenti». Proprio nella conduzione del lavoro politico, profuso con cieca dedizione, viene meno la fiducia nel gruppo dirigente, si svelano i limiti di una milizia che, servendosi di pratiche che sfiorano la psicanalisi di gruppo, contrabbanda i principi per la politica. La presunta trasformazione «rivoluzionaria» del militante si palesa come un'operazione volontaristica che, non traducendosi in un'effettiva capacità politica, dimostra tutte le sue contraddizioni fino a mettere in crisi tutta la forzata impalcatura del gruppo che subisce un rapido processo di sfaldamento. Con l'inizio della strategia della tensione e la conseguente ondata repressiva, salta il centralismo interno, esso si svela nella sua natura di strumento oppressivo nei confronti dei militanti e solo funzionale al mantenimento di una fittizia unità di gruppo. Di fronte agli insuccessi è messo sotto accusa il gruppo dirigente, il sistema delle direttive burocratiche, l'organizzativismo e la settorialità degli interventi. Già prima dello sfaldamento, in particolare nelle situazioni meridionali e a Roma, si avvertono i segni di un rigurgito spontaneistico. A Roma, mentre il gruppo è impegnato a sostenere l'occupazione delle case popolari a varco San Paolo, per la prima volta nella sua breve storia, l'Unione decide di aggredire a freddo la polizia. Armati di manici di piccone, i cosiddetti «Stalin», i militanti del gruppo assaltano i gipponi della polizia fermi, distraendo così gli agenti e consentendo una nuova occupazione degli appartamenti dopo lo sgombero già avvenuto. Il dinamismo di Potere operaio e di Lotta continua davanti alle fabbriche, il dibattito apertosi attorno alla vicenda del Manifesto rimettono in moto suggestioni movimentiste solo momentaneamente tenute a freno. In molte sedi si comincia a discutere delle prospettive, si criticano le indicazioni del Rapporto politico, ci si chiede dove si sta andando allontanandosi dal corpo vivo dell'estremismo. L'università sembra avere una nuova fiammata di dibattito, ma il «partito» esclusosi in un anno di lotta non trova spazio. Non e' è diritto di parola per chi si è autoescluso e a nulla serve presentarsi con l'orgoglio e il trionfalismo di una grande organizzazione ma priva della forza del movimento. L'accusa ricorrente è: dove stava l'Unione nei giorni delle grandi mobilitazioni? Dopo la morte dell'agente Annarumma a Milano, l'Unione è nell' occhio del ciclone. La situazione si drammatizza ulteriormente dopo le bombe di piazza Fontana; il gruppo come tutto l'estremismo è al centro dell'offensiva repressiva. A Monterotondo, un comune vicino Roma, è perquisita la sede della dirczione nazionale; davanti alla sede romana dopo alcuni modesti incidenti sono arrestati numerosi militanti del gruppo. Cresce la tensione interna, la discussione si fa agitata, cosa impensata i dirigenti cominciano a essere discussi, la base fa sentire la sua voce, le sue vere esperienze e le sue disillusioni. Tra il dicembre '69 e il febbraio '70 in tutte le città le strutture dell'Unione sono attraversate da una profondissima crisi. Nel dibattito interno si ricostruisce la storia del gruppo, si passano in rassegna i fallimenti, si critica il gruppo dirigente. Le frustrazioni di un anno deflagrano nella liberazione di tanti interrogativi. Le accuse sono spieiate: ideologismo, fascistizzazione, culto della personalità, eccesso di organizzazione. I militanti di base dichiarano falsi i successi organizzativi e il numero dei tesserati, nel frattempo, guardando alla prossima costituzione in partito, il gruppo era passato ali'iscrizione con tessera. Con insistenza circola la voce di oscuri finanziamenti all'U-nione. A Roma il clima è incandescente. La seduta dell'intero comitato centrale con il gruppo dirigente romano è l'ultimo tentativo di Brandirali di cooptare il dissenso. Dalla Sicilia, dove era stato inviato, rientra a Roma con una funzione da commissario politico Antonio Russo ex leader studentesco molto legato ai quadri romani dell'Unione. L'intervento farà precipitare ulteriormente la situazione. Guglielmo Guglielmi e i principali dirigenti dell'organizzazione dopo qualche incertezza assumono la dirczione del dissenso al gruppo ex Falce e martello. Lo scontro arriva ali occupazione «militare» delle sedi e del giornale con la cacciata dei fedelissimi del leader milanese u. Le coordinate del dibattito sono fumose. E più una rivolta della base che una precisa volontà di rifondazione, anzi ogni tentativo di tener uniti i vari militanti dissidenti si dimostrerà fallace e impossibile. Il processo di disgregazione è rapidissimo, in esso si ritrovano, rovesciate di segno, le stesse componenti della repentina fortuna; ma, contravvenendo a una consuetudi-ne dell'emmellismo, segno evidente delle spinte eterogenee che sono all'origine del processo emorragico, non si determina un nuovo gruppo bensì un'endemica migrazione di quadri: ognuno sceglierà la sua strada, il ritorno al privato, la milizia in altre formazioni, il curioso vagabondare da gruppo a gruppo, qualcuno entrerà nel Pci. La storia successiva dell'Unione non presenta grande interesse: uno spezzone secondario insieme ai residui del Pcd'I, di Stella rossa e di altre sigle minori dell'arcipelago emmellista.
4. Tattica e strategia
Incurante delle scissioni a catena, dopo Roma, Milano, Padova, il nucleo dirigente nazionale dell'Unione prosegue imperterrito verso la formazione del partito. Contro la «cricca antipartito» dei piccoli borghesi che hanno incrinato la disciplina e la forte unità del «gruppo», contro gli «agenti della borghesia, troskisti, frazionisti», risponde con un'ulteriore stretta organizzativa 26. . Ricomincia l'indottrinamento dei militanti, nelle «scuole quadri» si torna al libretto rosso, ai testi del marxismo-leninismo, a ripetere principi su principi e a sviluppare la critica e Pautocritica. Per normalizzare la vita interna si compie qualche cooptazione negli organismi dirigenti e si concede qualcosa nei rapporti fra vertice e base. Quello su cui non si transige è il giudizio sulTUnione come nucleo d'acciaio portatore della linea ed embrione costitutivo del futuro partito. Nessun cedimento a chi vede la definizione della linea politica come «un processo di esperienze», anzi per combattere questi menscevichi è necessaria una nuova e più serrata bolscevizzazione. La dirczione nazionale e la sede del giornale si spostano da Roma a Milano, città roccaforte del gruppo. Una maggiore attenzione alla situazione politica si avverte negli articoli di «Servire il popolo». Nel febbraio, l'Unione lancia la campagna «contro la repressione e contro il governo». Il nemico principale è il governo, centro motore insieme a polizia e magistratura dell'attacco reazionario. Nel suo «programma politico per gli operai» della primavera '70 il gruppo assume fino in fondo il valore delle battaglie sociali, casa, prezzi, sanità, scuola. Altrettante occasioni di lotta pur nella consapevolezza che a nessuno di questi problemi delle masse il governo borghese potrà dare una risposta in quanto il problema vero rimane «instaurare la dittatura contro i capitalisti. La lotta di oggi per le esigenze del popolo deve preparare la lotta generale per la presa del potere» •". Prospettiva a cui certo non lavora la sinistra tradizionale. Impegnati a «imbrogliare i lavoratori a favore dei capitalisti», Pci, Psiup e Psi non sono partiti di sinistra ne di progresso, senza fare alcuna distinzione fra loro, sono tutti definiti come «partiti di centro». Brandirai! precisa: essere di centro in realtà significa essere di destra. Con un brusco trasformismo alle elezioni regionali del maggio '70 l'Unione invita i suoi militanti a votare per il Pci. Nell'estate un nuovo ciclo di espulsioni e scissioni28, sono smantellati quasi tutti i gruppi meridionali, a Napoli una parte del ceppo maoista si ritroverà nel gruppo Granisci. In questo periodo escono Luca Meldolesi, Nicoletta Stame, Antonio Russo che orbiteranno nell'area di Lotta continua. Nelle sedi dell'Unione procede la «bolscevizzazione». Il comitato centrale sempre allo scopo di fare assimilare la linea impartisce ai quadri le sue lezioni, appare così l'opuscolo Sulla via dell'insurre-zione il primo degli scritti di strategia e di tattica m. L analisi saccheggia ampiamente l'opuscolo cinese Problemi della guerra e della strategìa, numerosi i brani ripresi da Mao e da Lin Piao, citazioni queste ultime che saranno soppresse nella nuova edizione del 1972 curata dallo stesso Brandirali. Per quello che riguarda lo sviluppo del movimento rivoluzionario nel mondo si riprendono i giudizi di Lin Piao: nelle «città del mondo», Nord America ed Europa, si è avuto uno stallo delle lotte di classe mentre al contrario esse sono esplose nelle «campagne del mondo», Asia, Africa, America Latina. Una situazione che acutizza lo scontro fra popoli oppressi e imperialismo aggressore e rende ineluttabile la crisi del sistema capitalistico, fonte dell'imperialismo, e la vittoria del socialismo e la dittatura del proletariato. Sempre attingendo al maoismo, «II vento dell'Est prevale sul vento dell'Ovest», dunque le campagne prevalgono sulle città. In questo scontro l'imperialismo subisce duri colpi, venendo meno le sue basi di rapina cadono i presupposti materiali di vecchi «privilegi» interni ai paesi capitalisti. Si determinano così le nuove spinte aggressive dell'imperialismo: la «guerra» come mantenimento del relativo «benessere» interno. L'esempio più clamoroso di questa spirale è la tragica guerra del Vietnam. Nelle «città del mondo» spetta al proletariato ostacolare questa follia aggressiva e di fronte a una guerra imperialista esso deve lavorare per la sconfìtta del proprio paese. Per il proletariato l'unica guerra possibile è la guerra civile e ad essa deve prepararsi. Lo scritto di Mao Tse-tung Problemi della guerra e della strategia, del 1938 nella fase di guerra di resistenza contro il Giappone, rivisitato dalle elaborazioni di Lin Piao e riletto attraverso il filtro della Rivoluzione culturale cinese, offre al-l'Unione la campionatura della lotta di classe nel mondo. Le nazioni oppresse dall'imperialismo dove, passando per la fase di nuova democrazia, la strategia è la «guerra di popolo»; l'Eu-ropa e il Nord America dove si deve combattere per l'insurre-zione armata e la guerra civile, e infine la Cina dove attraverso la Rivoluzione culturale si deve difendere la dittatura del proletariato. In Italia il compito principale è attrezzarsi a una strategia insurrezionale, educare gli operai ad accumulare forze attraverso una lunga lotta legale, servirsi della tribuna parlamentare, ricorrere agli scioperi economici e politici. Prepararsi alla «guerra civile di classe» avendo chiaro che «non bisogna dare inizio a insurrezioni e guerre fino a quando la borghesia non sarà veramente debole, fino a quando la maggioranza del proletariato non sarà decisa a condurre un'insurrezione armata e una guerra, fino a quando le masse contadine non si offriranno per aiutare il proletariato» 30. Tuttavia ricorda l'Unione, riprendendo Mao, non bisogna dimenticare l'interconnessione tra «fascismo e democrazia borghese» quindi prepararsi alla clandestinità. Il tema sarà ampiamente ripreso nel Progetto di Tesi del congresso di fondazione del Partito comunista (m-1) i del '72. La deduzione logica è semplice. La rivoluzione socialista in Italia non è una chimera ma strategicamente è già in atto; la sua realizzazione è solo legata al crescere dell'«elemento cosciente», cioè la consapevolezza della maggioranza del popolo delle «grandiose possibilità di progresso che può generare la rivoluzione socialista». Proprio in virtù dello stadio cui è giunta la contraddizione antagonista fra proletariato e borghesia maturano le offensive reazionarie del capitalismo che si serve dei sindacalisti corrotti per contrabbandare come interesse dei lavoratori lo sviluppo della produzione, della democrazia borghese come finzione di rappresentanza e falsa illusione di potere; del revisionismo che contrabbanda un capitalismo ammodernato per socialismo. A tutto ciò si aggiunge il fascismo come «fronte di riserva» del sistema. Le lezioni dell'Unione proseguono fra indicazioni di metodo alternate ad affermazioni di principio. Per rendere elemento «cosciente» il popolo occorre unirlo, sovviene ancora il maoismo, risolvendo le contraddizioni in seno al popolo. Il proletariato, e quindi il suo partito, può dirigere il popolo, portare avanti la sua opera di unificazione solo integrandosi totalmente alle masse. Nel loro lavoro i militanti debbono aver sempre presente la seguente direttiva: «mai condurre azioni che non corrispondono alla volontà e alla coscienza delle masse». Non è difficile comprendere lo strabismo con cui opera l'Unione, l'enor-me divario fra le affermazioni e il livello di politizzazione che riscontra nelle situazioni di intervento. Nasce da ciò la «tattica» del gruppo. Nelle singole lotte sono presenti due linee: quella borghese, il revisionismo e tutti i suoi alleati, e quella proletaria che si organizza nel partito rivoluzionario. Nel? applicazione di una «corretta» linea di massa i compiti nell'Unione sono: sostenere le lotte, intervenirvi per garantire la loro unità, gettare le basi dell'organizzazione ed enucleare le avanguardie. Si defìniscono così i terreni della nuova fase di impegno del gruppo, le tattiche della più generale strategia rivoluzionaria: costruire la corrente rossa nella Cgil; la lotta per «le riforme contro il governo», come anticipazione del programma del governo rivoluzionario; la lotta per la vera democrazia per smascherare, anche partecipando alle elezioni, la democrazia borghese. Armata dei principi del maoismo, della tattica e della strategia, debellato lo «spontaneismo interno», l'Unione conosce un nuovo quanto effimero impulso. Dal centro i quadri dirigenti sono inviati a riportare ordine nelle varie sedi. Si procede a una più oculata politica finanziaria, sono chiuse tutte le sedi che non riescono ad autofinanziarsi. Memore delle esperienze passate, l'organizzazione è accompagnata da un' attenta selezione di tutti gli aderenti. L'interesse politico prevalente si sposta dal Sud alle grandi fabbriche del Nord. Lo stile di lavoro sembra tornare alle origini. Si registra un nuovo aumento nella diffusione di «Servire il popolo», secondo alcune stime arriva a toccare le 20 mila copie settimanali. Seguendo le indicazioni del nuovo statuto, che prevede che ogni due operai vi può essere solo uno studente iscritto al gruppo, fra i mèmbri effettivi dell'Unione aumentano gli operai. Riprende il dialogo con gli altri gruppi. Per tappe successive confluiranno nel? Unione: il Partito comunista rivoluzionario, Avanguardia proletaria maoista e i resti del Pcd'I linea rossa. Ben presto in tutta Italia si calcoleranno 150 sedi dell'Unione. La maggioranza è al Nord, nella sola Milano se ne contano 18. Al Sud rimangono alcuni punti forti coordinati dalla sezione meridionale. Nelle fabbriche la linea è l'entrismo nel sindacato, lavorare all'interno delibrganizzazione per evidenziarne le contraddizioni: «Partecipare attivamente ai livelli di massa in cui si esprime la dialettica del movimento di massa e cioè: commissione interna, assemblea operaia, assemblea di sede sindacale, delegati di reparto, di linea e di consiglio di fabbrica. In tutte queste sedi bisogna portare avanti gli obiettivi sostenuti dagli operai e condannare la metodologia che guida gli obiettivi sostenuti dai sindacati, le forme di lotta, e così tracciare la discriminazione fra le forme di lotta sostenute dagli operai e quelle sostenute dai sindacati». La lotta contro l'egoismo per affermare l'altruismo sparisce a favore di un netto spostamento verso lotte dure. L'Unione incoraggia gli scioperi a gatto selvaggio, il blocco della produzione, agendo sui punti chiave ali organizzazione del lavoro in fabbrica. A settembre, lancia la campagna contro il governo Colombo e le sue misure antipopolari. Sul piano operativo si tratta quasi sempre di volantinaggi, lavoro organizzativo, qualche comizio. Poche le occasioni che vedono il gruppo al centro di rilevanti appuntamenti di massa: una carenza di iniziativa che contrasta con la durezza degli articoli del giornale e degli slogan. Su «Servire il popolo» il governo Colombo è definito «anticamera della reazione» e il fascismo non è altro che uno strumento del governo e del suo disegno reazionario. Se questo è il gioco delle parti come è possibile l'unità antifascista con la De come vorrebbero i revisionisti? Anche sull'Unione interviene la mano pesante della repressione, Enzo Lo Giudice, leader meridionale del gruppo, è arrestato per aver parlato di mafia in un comizio. La rivolta di Reggio riporta la riflessione sulla questione meridionale. I fatti del luglio colgono impreparato il gruppo che ancora una volta manca il suo appuntamento con le «lotte». Nel novembre 1970, con il comunicato della sezione meridionale, si schiera: «Salutiamo e appoggiamo fermamente il popolo di Reggio Calabria in lotta contro la miseria la disoccupazione, la rapina dello stato capitalistico». L Unione, non discostandosi dalle analisi di Lotta continua, vede in Reggio la rivolta contro lo Stato, contro la falsa democrazia borghese. Anche se De e fascisti hanno tentato di strumentalizzare ai loro fini la rabbia del popolo calabrese, il comunicato prosegue perentorio: «il popolo meridionale non è disponibile a queste manovre, esso non si mette contro gli operai, bensì vuole colpire i baroni di ogni colore» 31. Lo svolgimento dei cento giorni di Reggio e le sue stesse contraddizioni non sono altro che la conseguenza del principale problema del popolo meridionale la mancanza del partito rivoluzionario. Per Brandirali si conferma un'altra verità: «il Meridione come riserva della rivoluzione». Della rabbia del popolo meridionale si è sempre parlato al-l'interno dell'Unione come di un potenziale rivoluzionario da far esprimere. L'origine stessa del gruppo è stata fortemente influenzata da un'accentuazione terzomondista che aveva portato molti militanti a spostarsi nel Sud. Ancora delusioni che si scaricano nella vita dell'organizzazione e nella coscienza dei militanti: perché quelle analisi e quelle prime ipotesi non hanno consentito di interpretare per tempo la rabbia spontanea del popolo meridionale? Torna la contraddizione organizzazione-spontaneità che pervade l'insieme dell'esperienza Uci. Supplisce alle carenze di movimento la rigida sistematizzazione della «questione meridionale»: questione nazionale, territoriale, di grande disgregazione sociale. Al capitalismo serve un Meridione lasciato nella miseria, anzi ― si precisa ― non una «zona di miseria» ma «una miniera doro» per il capitalismo. Per la classe operaia l'alleato principale è il popolo meridionale proprio perché lottare e sconfìggere il capitalismo coincide con l'e-mancipazione del Sud. Vi è inoltre una specificità locale: l'at-teggiamento del popolo meridionale nei confronti dello Stato. Lo scontro si manifesta in tutta la sua radicalità, in assenza di ogni mediazione sindacale e politica la lotta diventa «rivolta locale» di un fronte sociale potenzialmente molto ampio. La politica di saccheggio del capitalismo ha costruito un esercito di disoccupati di riserva di futuri emigrati, di marginali, ma proprio questa decomposizione sociale fa del meridione la «Base rossa» della rivoluzione. A Reggio «il regionalismo», è stato il «lato debole» della rivolta. Un limite superabile con la presenza del partito rivoluzionario e riconoscendo nel Programma del governo rivoluzionario l'autogestione del popolo meridionale. Incapaci di risolvere questi problemi, reazionari e riformisti diventano uguali agli occhi delle masse. Vicina ad altre elaborazioni dell'estremismo, la riflessione che, ali' interno della questione meridionale, si sviluppa sul ruolo del sottoproletariato. L'autorità di Mao è sempre ben accolta: «II presidente Mao ci ha insegnato che la classe sottoproletaria non esiste, il sottoproletariato è una mentalità. Non è altro che una manifestazione di retroguardia del proletariato»32. Sulla disgregazione occorre lavorare rafforzando l'organizzazione e costruendo nel Sud il partito. I proletari debbono impadronirsi di questo strumento di lotta entrando nel-l'Unione «anche se non sono operai d'avanguardia». In polemica col Pci si respinge ogni ipotesi di fascismo eversivo e di massa: «i proletari sanno comprendere l'origine di classe delle loro sofferenze». Su tutto si stende il mito del grande e giusto partito, panacea di tutte le possibili contraddizioni: «Da Reggio a l'Aquila, da l'Aquila a Foggia, da Foggia a tutto il Meridione, la classe operaia italiana, mediante il suo Partito marxista-leninista assolve alla sua missione di guida verso le eroiche masse meridionali» ". Nell'analizzare la rivolta di Reggio si è affermato che non esiste un fascismo di massa ed eversivo ma questo non cancella la pericolosità dell'uso del fascismo a fini repressivi. Le rivelazioni sul tentativo di colpo di Stato preparato dal principe nero Borghese offrono un fertile terreno per rilanciare la campagna «contro i fascisti e il governo». Il vero pericolo va oltre il fascismo e sta nel governo Colombo. Contro la repressione e la reazione si creano comitati unitari aperti a tutti, unica discriminante quella contro la De. Anche se con modesti risultati l'Unione tenta .comunque di ripristinare un dialogo con le altre formazioni dell'estremi-smo. Molti i punti di convergenza, ma quello che la divide dal resto del movimento è l'esasperato ideologismo, il neostalinismo mai abbandonato e la concezione del centralismo interno. Le aperture dell'Unione sono solo fonti di ulteriori crisi, nel confronto con gli altri gruppi si incrina la compattezza interna e riemergono spontaneismi tenuti a freno solo dalla concezione del «partito». Continuano, a cicli oscillanti, le emorragie del gruppo. Al lavoro per la costruzione dei comitati unitari «contro il fascismo e il governo» si affiancano l'impegno propagandistico sui temi sociali più scottanti e la presenza davanti alle fabbriche. Proseguendo la sua tradizione, il 1° maggio '71 comizi e manifestazioni pubbliche in molte città. Intanto di fronte alla ripresa delle lotte alla Fiat, «con il cuore colmo di gioia» e col solito trionfalismo di «una nuova marea montante», il gruppo lancia l'obiettivo del movimento di massa, guidato dagli «eroici operai della Fiat». Ancora una volta l'analisi si carica di ingenuità e di deformazioni funzionali al mito dell'organizzazione. Ormai per l'Unione tutto spinge alla costruzione del partito, ne esistono le condizioni soggettive poiché i militanti sono diventati «abili organizzatori e forti dirigenti rivoluzionari», ne esistono le condizioni oggettive perché la classe operaia non attende altro che di essere chiamata alla lotta dal vero partito rivoluzionario. Chiedendo «un voto per l'insurrezione», nelle elezioni amministrative dell'estate '71, l'Unione in diversi comuni presenta proprie liste. «Il voto non cambia le cose» ma «ogni voto alla nostra lista dimostrerà che esistono i capi per fare la lotta rivoluzionaria nel nostro paese». Il fallimento non sconsiglierà l'anno dopo di ripetere su scala nazionale la prova elettorale. AU'indomani della prima conferenza nazionale della corrente rossa della Cgil del giugno, appuntamento che non registra consistenti novità, un nuovo fiorire di scuole quadri. Il nucleo d'acciaio deve rinsaldarsi, epurare la «destra» interna, espellere con la critica e l'autocritica i residui borghesi. Scrive Francesco Ciafaloni sui «Quaderni piacentini»; «L'Unione è un fenomeno religioso di contro-rivoluzione basato sul potere della funzione» 34. Alla ripresa autunnale il gruppo rafforzatesi con le sue pratiche di autocoscienza collettiva si lancia solo con la forza dei suoi slogan in una campagna di scioperi politici. Il programma prevede una «settimana rossa» al mese fino alla caduta del governo Colombo». A novembre la prima «settimana rossa». Gli slogan sono: basta con il carovita, blocco dei prezzi; basta con la disoccupazione, lavoro per tutti; basta con i salari miserabili, salario minimo garantito; basta con 1 occupazione e la miseria del Sud, rinascita del Meridione; basta con i salari miserabili, salario minimo garantito; basta con la dittatura poliziesca, la giustizia nelle mani del popolo; basta con le aggressioni imperialiste, fuori l'Italia dalla Nato. Lo sciopero vede scarsissime adesioni. Ma basta poco al gruppo. Brandirai! saluta a nome del comitato centrale «l'eroismo dei combattenti» della settimana rossa, una lotta che ha «commosso milioni e milioni di lavoratori, donne, giovani, vecchi». Gli insuccessi non cambiano la rotta verso la fondazione del partito. A differenza degli altri gruppi che consideravano aggravata la situazione, l'Unione col solito fastidioso trionfalismo dichiara la situazione «eccellente» non ci sono dubbi «fra cinque o dieci anni l'Italia sarà rossa» 35. Sul piano interno il gruppo si fa sempre più setta, arriva persino con un assurdo rituale a celebrare i «matrimoni di partito» 36. Nello spirito del Fronte unito, sotto la dirczione del partito e utilizzando sempre le medesime forze si organizza il Movimento delle 5 leghe (delle donne, della gioventù, della vecchia guardia, dei pionieri, del vento rosso), suo compito sviluppare le linea di massa e «la ribellione alla borghesia nei diversi settori» attraverso «la forza educativa dell'altruismo trattando specificamente le contraddizioni ideologiche attraverso l'unità e la lotta, la critica e l'autocritica, l'aiuto reciproco» 37. La situazione dunque è «eccellente», per rispondere al desiderio di ribellione delle masse manca solo la tappa fondamentale: la costruzione del partito, «la potente forza organizzativa della rivoluzione socialista, la vasta rete del partito rivoluzionario della classe operaia».
5. Il Partito comunista (m-l) italiano
Prepara il congresso di fondazione del partito il Progetto di Tesi. Tornano principi e concetti già formulati nella prima conferenza nazionale. Stavolta il programma socialista del governo rivoluzionario si articola in 26 articoli suddivisi in cinque capitoli: espropriazione degli sfruttatori, organizzazione del nuovo Stato, ripresa delle energie produttive per il benessere del popolo, cultura-sport-morale-religione. Con la solita pignoleria si definiscono i comportamenti e le norme della vita socialista, il tutto irreggimentato in un immaginario sistema politico gerarchicamente organizzato nei vari comitati rivoluzionari, leghe, fronte unito di uno Stato retto dalla dittatura del proletariato. Sullo sfondo un idilliaco paesaggio sociale: «Le città si estenderanno armoniosamente integrandosi alla campagna, i monti e le rive del mare saranno abitati dai vecchi riuniti in centri sociali, dai bambini e dai lavoratori per i riposi ricreativi. Il vino e i buoni cibi del nostro paese saranno prodotti per tutti, ogni regione darà alle altre le sue cose migliori. Le più belle usanze del popolo risorgeranno nella vita collettiva. E l'Italia sarà un giardino fiorito»3S. Ma questo paradiso terrestre non sarà possibile senza il passaggio dalla lotta armata. La concreta esperienza della lotta di classe nel mondo dimostra che contro i desideri del popolo e i suoi successi si scatena la reazione armata della borghesia: «II principio della lotta armata per la presa del potere è un principio generale della via rivoluzionaria». In Italia essa assumerà la forma della «via dell'insurrezione», uno sbocco che si renderà inevitabile quando il capitalismo, non avendo altra mediazione possibile, ricorrerà alle armi per reprimere le lotte del proletariato e del popolo. In questa transizione il popolo acquisterà coscienza dell'inevitabilità della guerra civile, nel frattempo spetta al partito attrezzarsi a questa evenienza, la fatidica ora X della rivoluzione. Una mitica crisi rivoluzionaria che per l'Unione finisce per coincidere con generici principi della lotta di classe e col suo sentirsi partito. Peraltro, avendo sempre collegato, nei suoi enunciati, radicamento fra le masse e costruzione del partito, il suo stesso esistere verrebbe meno senza la finzione del trionfalismo. Affermare la necessità del partito e passare alla sua fondazione significa anche constatare l'imminenza della crisi rivoluzionaria. Non è difficile comprendere le conseguenze negative che questo strabismo rispetto alla realtà produce nei militanti del gruppo per lo più giovanissimi e senza esperienza politica. La scoperta della finzione sarà sempre un dramma personale. Microstorie che scorrono nella vicenda complessiva del sovversivismo. Nelle tesi si illustrano pedantemente i modelli di organizzazione sociale e di propaganda della «rivoluzione». Accanto al partito, strumento egemone della dirczione politica, le leghe con la loro articolazione per settori, una gerarchica ingegneria politico-sociale ricomposta dalla logica del Fronte unito. Spetta alla lega del Vento rosso, che opera nel settore della cultura, propagandare gli ideali del socialismo portando fra le masse le sue squadre di artisti, il «Teatro rosso», le canzoni del proletariato, mentre le «marce» rosse percorrono il paese. Nelle fabbriche «Stalingrado», nei quartieri «base rossa» si deve lottare per gli scioperi politici, costruire l'unità del popolo edificando gli strumenti dell'aiuto reciproco. Nel nutrito elenco non mancano le squadre di vigilanza e di autodifesa, contro il fascismo e le provocazioni. Dunque accanto ai principi anche il militarismo. Fra i militanti si parla poco del servizio d'ordine, una struttura rigorosamente inquadrata sin dai tempi della conferenza nazionale. Si muove parallelamente al partito, circondata da mistero, procede alla schedatura dei fascisti e dei provocatori. Il gruppo non vorrà mai esser confuso con l'avventurismo che critica nelle altre formazioni, tuttavia è facile intuire quanto il verbalismo rivoluzionario accompagnato dalla scarsa capacità di lotta generi turbamenti in giovani che scoprono la politica. L'Unione non ha mai visto positivamente il Comitato nazionale contro la strage di Stato, non vuole mischiarsi con gli altri «gruppi studenteschi». Estranea alla giornata dell' 11 marzo 1972 a Milano, preferisce ignorarla nei suoi aspetti più inquietanti. «Servire il popolo» non commenta l'assalto al «Corriere della sera» e liquida gli scontri di piazza come «una qualunque manifestazione studentesca» selvaggiamente aggredita dalla polizia, per giustificare la sua assenza agli occhi di quei militanti che non ne comprendono le ragioni, che si sentono esclusi dalla lotta che altri hanno ingaggiato, ancora una volta invoca la ragione di partito. Pur non avendo partecipato gonfia il proprio ruolo arrivando ad affermare «Tutta l'operazione [...] ha mirato a colpire non solo la protesta studentesca ma anche l'azione del nostro partito, a Milano particolarmente intensa». Questa chiave interpretativa guida il commento alla morte di Feltrinelli: il congresso del Pc(m-l)i e la presentazione delle sue liste fanno paura alla De che vuole con ogni mezzo screditare i veri «democratici» come Feltrinelli e i «salottieri medio borghesi» di Potere operaio. La morte di Feltrinelli è un delitto per far confluire voti sulla De; una macchinazione che trova la disponibilità di Potere operaio per impedire la fondazione in Italia del Partito comunista marxista-leninista. Conclusioni che nella loro presunzione non danno alcuna credibilità alla loro critica al sovversivismo. A Milano, dall'8 al 16 aprile '72 si svolge il congresso di fondazione del Partito comunista (m-1) italiano. I revisionisti «non possono più chiamarsi comunisti»; in un congresso stupendo «profondamente unito» è nato «il nuovo partito della rivoluzione in grado di trasformare tutto perché è formato e diretto da operai». Ma l'altisonante «appello al popolo italiano» rimane inascoltato. La nascita dell'Unione aveva acceso interessi ma ben presto le sue principali peculiarità, organizzazione e maoismo, si erano tramutate nella sua camicia di forza. Dopo la crisi del '70, per la cultura del sinistrismo un esempio da non imitare. Più diviso che mai il campo dell'emmellismo, alle scarse confluenze nell'Unione fa da contrappunto 1 enorme frastagliamento in gruppi locali, regionali e nazionali. A differenza dell'Unione e del dogmatismo del Pcd'I per molte di queste esperienze, per lo più nate da scissioni, il problema principale, senza nulla togliere al faro cinese, è una corretta interpretazione del leninismo. Spesso dopo l'ubriacatura ideologica ci si rifugia nello studio, proliferano così opuscoli, riviste e documenti alla ricerca di quella teoria senza la quale l'intervento concreto è solo fonte di fallimenti. Dopo i fatti della Bussola del dicembre '68, Gianmario Cazzaniga criticando lo spontaneismo era stato molto esplicito: senza chiarezza politica l'intervento fra le masse diventa dannoso. Con lui Vittorio Campione e Giuliano Foggi usciti dal Potere operaio pisano fondano il centro Karl Marx. L'annunciato convegno nazionale non si svolge, prosegue invece un'analisi non astiosa del revisionismo e degli scenari internazionali senza sottacere le contraddizioni dell'esperienza cinese. Dopo la conferenza d'organizzazione (10-12 aprile '70) l'atten-zione del centro si concentra sulla scuola. Scelta da cui deriva l'internità alla Cgil scuola, al suo primo congresso nazionale (dicembre '70) numerosi e documentati gli interventi degli appartenenti del centro. Lo stesso Lama esprime apprezzamenti sul-l'intervento di Gianmario Cazzaniga, che presto diventerà un quadro nazionale della Cgil scuola. Il lavoro congiunto con altri centri ― il centro Karl Marx di Torino, il centro Lenin di Broscia, il circolo Lenin di Lecco, il circolo Lenin di Milano-Sesto ― porta alla fusione, nel febbraio '72, nell'Organizzazione dei lavoratori comunisti che si riconosce nel documento Movimento rivendicativo e lotta politica e pubblica la rivista «Sotto le bandiere del comunismo». Alle elezioni politiche del 1972 invita a votare per il Pci sia alla Camera che al Senato. Sempre guardando ali'area toscana l'altro spezzone della redazione di «Nuovo impegno» in conseguenza del dibattito sull'organizzazione, da vita alla Lega dei comunisti. Con l'uscita successiva di Della Mea e Cristofolini che si collocheranno in area di confine tra Lotta continua e Manifesto-Pdup, il gruppo cerca di portare avanti un paziente lavoro di ricucitura nell'uni-verso emmellista. Al nucleo originario Pisa, Massa, Carrara, Spezia, Firenze si affianca il circolo comunista m-1 di Lucca e infine un intenso rapporto con Unità operaia di Roma, gruppo nato sull'onda del movimento degli studenti entrato in crisi nell'estate '69 e dopo la rottura, autodefinita «salutare», con lo spontaneismo presente in alcune fabbriche della capitale. Sempre a Roma nascono alla fine del '70 i Nuclei comunisti rivoluzionari. Solo nel '71 cercano di uscire dall'ambito locale pubblicando «Per la costruzione del fronte anticapitalistico» e nel '72 il foglio «Per la rivoluzione proletaria». Nel marzo dello stesso anno si stabilisce un rapporto con il Fronte popolare comunista rivoluzionario della Calabria, una fusione che origina il Comitato politico di coordinamento atto sancito con la pubblicazione nel maggio della rivista «II comunista». A Milano all'inizio del '71 dal Movimento studentesco si stacca il Gruppo Granisci; in presenza del fallimento delle varie proposte della sinistra extraparlamentare il suo obiettivo è «costruire un'altra forza politica». Ancora sul vero partito della rivoluzione insiste l'Organizzazione comunista (m-1) Fronte unito, la parola d'ordi-ne nel marzo '72 «Ricostruiamo il partito di Lenin». Convergono nel gruppo la Lega dei comunisti m-1, l'organizzazione m-1 «Rivoluzione interrotta» e il gruppo napoletano di Hermann ex Pcd'I. Una selva di sigle che da sola testimonia la grande confusione, mini organizzazioni che si formano, si sciolgono, si fondano su spunti teorici e su obiettivi parziali ma tutte piene di ambiziose volontà di rifondazioni strategiche. Per lo più sono luogo di transito per altre esperienze, occasioni di primo apprendistato politico per altri approdi. L'erosione viene da tutte le parti, dal Pci e dal sindacato che proprio in quegli anni conoscono un forte rinnovamento interno, dai gruppi più solidi del sinistrismo. I percorsi delle organizzazioni si diradano in tanti percorsi biografici. Declina il mito della Ci-na, il partito rivoluzionario non arriva, al contrario nelle piazze cresce il sovversivismo. Le prime organizzazioni armate passano in questo quadro di decomposizione dell'emmelli-smo e di ridefinizione complessiva della cultura della nuova sinistra; attraversano i partiti dell'estremismo, i gruppi in destrutturazione, i primi germi dell'autonomia. Sullo sfondo di tali scenari il farsi Partito dell'Unione appare del tutto estraneo, viziato dall'ideologismo religioso del gruppo e senza alcuna reale corrispondenza al dibattito e alla pratica del sinistrismo. Nel maggio 72, la prova elettorale. Per il Pc(m-l)i 85.000 voti raccolti in tutta Italia di cui 11.000 solo nella città di Milano, baluardo e roccaforte del gruppo 39. Le giravolte interpretative non spiegano l'insuccesso, non basta «non sputare sui voti ottenuti» per dar loro un senso 40. Progressivamente il gruppo scompare dalle cronache, rari accenni si ritrovano sul «Diario extraparlamentare» dell'Espresso, di tanto in tanto ricompare la sigla, una delle tante nel panorama marxista-leninista. E coperto dal dileggio delle altre formazioni, esempio negativo e ultimessenza dell'ideologismo settario. Inesorabilmente procede l'emorragia interna. La casa editrice Servire il popolo pubblica stancamente le opere di Mao, di Stalin, una riedizione della storia del partito comunista dell'Urss, libri di Brandirai!. Nessun pronunciamento sulla vicenda Lin Piao e sulla nuova fase che contrassegna la politica cinese. In campo emmellista unica voce a difesa di Lin Piao la Lega leninista che sul suo «Lotta di classe» lancia l'appello a tutti i fedeli di Lin Piao e Cen Po-Tà perché «riprendano la lotta di classe spazzino via tutti i reazionari». Il precipitare della situazione cinese produce ulteriori sbandamenti, il castello ideologico messo in piedi dall'Unione, ormai Pci (m-1) non regge più e si appresta ad andare in frantumi. Dal 2 ottobre '72 viene affisso davanti alle fabbriche la «Voce operaia» quotidiano murale che, per mancanza di finanziamenti, cesserà le pubblicazioni dopo quattro mesi. Al suo posto compaiono manifesti murali che fungono da bollettino e lanciano proclami che cadono nella più totale indifferenza. Anche «Servire il popolo», ora diretto da Angelo Mai, attraversa grandi difficoltà economiche dopo una breve pausa nella pubblicazione torna in edicola nel marzo del '73. I rapporti fra vari gruppi emmellisti sono sempre più sfilacciati. Nel? imminenza di rinnovi contrattuali. La Lega dei comunisti (m-1). Rivoluzione ininterrotta, e Partito comunista d'Italia (m-1) in aperto contrasto con le iniziative dell'ex Unione stampano «Per l'unità di classe» a cura del Fronte unito. Contro l'ipotesi di corrente rossa sindacale lanciano una riedizione dell'entrismo per modificare la federazione sindacale dall'interno. Le difficoltà del Pc(m-l)i continuano a crescere. A giugno del '73 una nuova prova editoriale «La voce contadina», primo giornale per i braccianti e per i salariati agricoli, nelle intenzioni si vuole arrivare «alla fondazione di un vasto fronte unito popolare che raccolga tutte le forze sociali contrarie alla De e che chiedono un governo operaio e contadino capace di garantire la rinascita del paese». Più interessante, anche se contiene evidenti segni di trasformismo, l'impegno dichiarato dal gruppo per un referendum sull'eliminazione dai codici dei reati d opinione un ponte che si vuole lanciare all'intero campo dell'extra-parlamentarismo e alle stesse forze radicali. Ma la polemica prosegue e il gruppo di Brandirai! è del tutto tagliato fuori dallo scenario del gruppismo. A nulla servono i tentativi anche «culturali» che cerca di mettere in atto attraverso la rivista «Che fare», il periodico fondato nel '67 da Francesco Leonetti. Con 1 entrata nel comitato di dirczione di Enzo Todeschini e Fausto Cupetti, la rivista tende a diventare l'organo di dibattito culturale del Partito comunista (m-1) italiano. Gli eventi cinesi, il progressivo appannamento ideologico del pensiero di Mao Tse-tung, recidono ogni residuale spazio di legittimazione del gruppo, ormai si naviga senza bussola. Nel!' estate del '75 dietro l'artificiosa riproposizione delle polemiche Gramsci-Bordiga, l'annosa polemica avanguardia o movimento che si trascina, Brandirali cerca tardivamente nel «gramscismo» un rilancio teorico-organizzativo, ma il risultato sarà la rottura definitiva. Ali'inizio del '76 il comitato centrale decide la radiazione dal «partito» dell'incontrastato leader storico 41. Il «culto» della personalità coltivato da Brandirai! non è sufficiente a sconfiggere gli oppositori, la sua mediazione si dimostra inutile e lo scontro si conclude in una rottura senza ulteriori prove di appello. Partito di quadri o partito di massa, 1 eterno dilemma del-l'area emmellista si ripresenta senza una soluzione. I conti con la pratica non tornano e la «purezza ideologica» diventa la scappatoia alla verifica e all'autocritica, la fuga dalla riflessione sulla politica. Sono le ceneri di un'esperienza: dalle fortune del-P Unione al postumo riciclaggio del bordighismo. Di Aldo Brandirali torneremo a sentir parlare alle fine degli anni settanta quando approderà a Comunione e liberazione, il gruppo politico religioso di Don Giussani e Formigoni. Il Pc(m-l)i, diretto da Eleonora Fiorani, assume progressivamente la sigla del nuovo giornale «Voce operaia» e abbandona la originaria rigidità per una maggiore fluidità organizzativa, un processo che lo porterà a fiancheggiare l'ala più oltranzista del movimento del '77. Nella storia dell' emmellismo resterà il dilemma di quale sia stata realmente la linea nera e quale la linea rossa, chi ha vinto e chi perso, chi ha fatto più danni ad alcune generazioni di militanti.
NOTE 1 Cfr. «Giovane critica», n. 20, primavera 1969; P. Bevilacqua, Un anno di lotte in Calabria, «Contropiano», n. 3, 1968; G. Backhous, Urgenza dell'organizzazione, «Quaderni piacentini», n. 37, marzo 1969. 2 Cfr. G. Vettori, «La sinistra extraparlamentare in Italia», Newton Compton Italiana, 1973, p. 55. 3 «Servire il popolo», n. 1, novembre 1968. 4 ibidem. 5 Cfr. F. Ottaviano, «Gli estremisti bianchi, Comunione e liberazione», Datanews, 1986. 6 Cfr. Documenti dell'archivio del partito, n. 2 (cicl.); G. Vettori, La sinistra extraparlamentare in Italia, cit., p. 56. 7 Cfr. G. Vettori, «La sinistra extraparlamentare in Italia», cit., p. 57. 8 Avanti verso la costruzione del Partito comunista italiano (marxista-leninista), «Rapporto politico alla Conferenza nazionale», Edizioni Servire il popolo, 1969, p. 52. 9 «Servire il popolo», n. 8, 1969. 10 Cfr: volantino distribuito nell'estate 1969 nel corso della «lunga marcia» in Ciociaria nel Lazio (cicl.). 11 F. Ciafaloni, C. Donolo, Contro la falsa coscienza nel movimento studentesco, «Quaderni piacentini» n. 38, luglio 1969. Ora in Quaderni piacentini, Antologia, 1968-1972, Edizioni Gulliver, 1978, p. 212 e sgg.. 12 Avanti verso la costruzione del Partito comunista italiano (marxista-leninista), cit., pp. 25-26. 13 ibidem, p. 49. 14 «Servire il popolo», n. 67, 1969. 15 Cfr.: Relazione alla scuola quadri per gli studenti, Milano, maggio 1969. 16 «Servire il popolo», n. 3, 1969. 17 Avanti verso la costruzione del Partito comunista italiano (marxista-leninista), cit., p.73. 18 «Servire il popolo», n. 17, 1969. 19 Avanti verso la costruzione del Partito comunista italiano (marxista-leninista), cit., pp. 3-5. 20 ibidem, p. 12. 21 ibidem, p. 31. 22 ibidem, p. 43. 23 ibidem, pp. 39-42. 24 ibidem, pp. 22-23. 25 Cfr. L'Unione dei comunisti italiani ovvero: l'unione senza una ragione, «Avanguardia operaia», n. 4/5, marzo-aprile 1970. 26 Cfr. Il Partito epurandosi si rafforza. «Documenti dell' archivio di partito», n. 8 (cicl.); Cfr: G. Vettori, «La sinistra extraparlamentare in Italia», cit., p. 61. 27 Programma politico per gli operai, in A. Brandirali, «Contro il governo reazionario», Edizioni Servire il popolo, 1972, p. 11. 28 Cfr. Le cause teoriche e politiche della disgregazione delI' Unione dei comunisti italiani (come non si costruisce il partito del proletariato). Autocritica di un gruppo di compagni usciti dalla sezione romana dell' Uci, giugno 1970 (cicl.). 29 «Sulla via dell 'insurrezione», Edizioni Servire il popolo, 1970. 30 «Problemi della guerra e della strategia», Edizioni in lingue estere, Pechino 1968. 31 Appoggiare fermamente la lotta del popolo meridionale, novembre 1970; anche in A. Brandirali, «II meridione riserva della rivoluzione». Edizioni Servire il popolo, 1971, p. 93. 32 ibidem, p. 88. Per le considerazioni sulla questione meridionale cfr: «Capitalismo, Sud, Rivoluzione», Edizioni Servire il popolo, 1972, in particolare la parte dedicata al «Fronte unito» pp. 145-157. 33 A. Brandirali, «Contro il governo reazionario», Edizioni Servire il popolo, 1972, p. 53. 34 F. Ciafaloni, Manifesto ed altro, «Quaderni piacentini», n. 42, 1970. 35 «Contro il governo reazionario», cit., p. 136. 36 Cfr. G. Vettori, «La sinistra extraparlamentare in Italia», cit., p. 75; «Un matrimonio rosso», Edizioni Servire il popolo, 1972. 37 Cfr.: «Il programma rivoluzionario del partito» dal Progetto di tesi per il congresso di fondazione del Pci (m-l), Edizioni Servire il popolo, 1972. 38 ibidem. 39 Cfr.: Il Pci (m-l) dopo le elezioni del 7 maggio in N. Massari, E. Desideri, «Gli extraparlamentari come e perché», Ellegi edizioni p. 67 e sgg. 40 Cfr.: «Marea montante e crisi di regime», relazione di Aldo Brandirali al comitato centrale, «Servire il popolo», 3 giugno 1972. 41 G. Passalacqua, I marxisti-leninisti cacciano il ministalin: Brandirali radiato, «la Repubblica», 25 gennaio 1976.
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